domenica 26 aprile 2009

Truffe on-line: istruzioni per l'uso

Ecco una panoramica di come funziona il crimine informatico:

La visione che Fortinet ha del crimine informatico in generale e del phishing in particolare è quella elaborata da Guillaume Lovet, guru della sicurezza nonché Emea Threat Response Team Leader di Fortinet, e illustrata a più riprese in sede di Virus Bulletin Conference. Secondo Lovet, il cyber crime è cresciuto parallelamente all'aumento delle transazioni con le carte di credito sul web e al proliferare dei conti correnti bancari online. Il gioco è semplice: una volta che si è entrati in possesso delle informazioni finanziarie relative a un conto e a una carta di credito, non solo si può rubare senza essere scoperti, ma, attraverso un processo automatizzato guidato da virus, continuare a rubare per un numero infinito di volte. Sul "mercato" esistono molti metodi per ottenere i dati delle carte di credito e dei conti correnti: ogni metodo comporta un mix di rischi, spese e capacità. Come dire, a ogni cybercriminale il suo. Chi vuole tagliare la testa al toro acquista il "prodotto finito".

Prendiamo l'esempio di un conto corrente online. Il prodotto, rappresentato dalle informazioni necessarie per ottenere un controllo "autorizzato" sul conto, costa 400 dollari, una cifra bassa per il poco lavoro necessario e il rischio limitatissimo che si corre. Transazioni, afferma Lovet, che avvengono in chatroom (Internet Relay Chat) nascoste, in cui i 400 dollari diventano denaro virtuale, visto che il denaro virtuale non è regolato da alcuna legislazione, è registrato in paesi offshore, può essere creato online e trasferito a conti di denaro reale in modo anonimo. Il lavoro viene svolto da 4 tipologie di persone, secondo una rigida divisione del lavoro. I "coder", veterani hacker che producono tool pronti all'uso come trojans, mailer e bot, o servizi come la creazione di un codice binario non rintracciabile dai motori Av, che saranno poi utilizzati dalla forza lavoro del crimine. Che sono i "kids", così chiamati per via dell'età, spesso al di sotto dei 18 anni. I kids acquistano, commerciano e rivendono gli elementi di base del crimine informatico, come mailing list di spam, php mailer, proxie, numeri di carte di credito host di hacker, pagine scam,...I "drop", in genere basati in paesi in cui le leggi anti-cybercrime sono quasi del tutto inesistenti (Bolivia, Indonesia e Malesia, per esempio), trasformano in denaro reale il denaro virtuale. Infine, i "mob", vere e proprie figure professionali del crimine organizzato, operano con tutte o alcune delle figure sopra descritte. Per avere il controllo di un conto bancario sempre più spesso si usano tecniche di phishing. I tool di phishing si acquistano facilmente e con pochi soldi: una lettera di scam o una pagina di scam in un linguaggio a scelta, una lista di spam, una selezione di mailer php per inviare 100mila mail in sei ore, un sito web per ospitare per alcuni giorni la pagina di scam, e infine una carta di credito rubata ma valida con cui registrare un dominio.

Un elenco che costa poco meno di cento dollari, a fronte di ritorni che possono essere anche del 300% e molto di più. Ritorni ancora più grandi si possono ottenere utilizzando i "drop" per convertire il denaro in contante. I rischi sono però alti: i drop richiedono commissioni fino al 50% del valore del conto, lasciano tracce "fisiche", e qualche volta derubano il phisher. Tuttavia, secondo i calcoli di Lovet, il phisher che paga commissioni e subisce furti ha comunque un ritorno che oscilla tra le 40 e le 400 volte l'investimento iniziale. Nelle operazioni su larga scala, proprie di grandi organizzazioni del crimine organizzato, sono utilizzati conti offshore; un processo più complicato e costoso, ma anche più sicuro. Se il phishing si aggiunge alle altre attività cyber criminali basate sull'hacking e sulle tecnologie virus, si trova un ricco ecosistema di microaziende e organizzazioni internazionali che lavorano insieme in maniera produttiva, ricavando profitti notevoli.

Proteggere le reti con firewall stand alone, apparecchiature di intrusion prevention, anti virus e anti spyware non basta. Secondo Lovet, è necessaria una seria legislazione internazionale e un coordinamento capace di superare i confini dei singoli stati. Ma è anche necessario elaborare una risposta creativa da parte delle organizzazioni sotto tiro. Le soluzioni di sicurezza reattiva "pezzo a pezzo" stanno lasciando spazio a sistemi di sicurezza multi-threat unificati. Invece di installare, gestire e mantenere differenti dispositivi, le organizzazioni, dice Lovet, possono consolidare le loro funzionalità di sicurezza in un unico apparecchio. Queste misure combinate, unite a una maggior consapevolezza degli utenti, sono al momento la contromisura più efficace contro il cybercrime.

Fotovoltaico, pannelli invenduti e guerra dei prezzi

Per chi sceglie il fotovoltaico, i prezzi dei materiali sono in ribasso:


Solo ottanta giorni fa sembrava ancora in crescita esponenziale. I consuntivi del 2008, per l'industria fotovoltaica, si erano appena chiusi a oltre 20 miliardi di dollari, cinque volte quelli del 2005. «Eppure, da allora, è cambiato tutto – spiega Paula Mints, analista della Navigant Consulting, azienda di ricerca sul fotovoltaico globale – oggi l'industria vive un clima completamente diverso, di sovraccapacità produttiva, di moduli e pannelli invenduti e accumulati nei magazzini, e di vera e propria guerra dei prezzi». E' lo scenario presentato durante l'ultima conferenza dell'Epia (European Photovoltaics Industry Association) a Francoforte, centrata sull'impatto della crisi sull'industria fotovoltaica.


Che cosa è successo in questi ottanta giorni? Primo, è improvvisamente finito il boom fotovoltaico spagnolo. L'anno scorso il governo di Madrid ha generosamente incentivato, con danari pubblici, la bellezza di oltre 2 gigawatt di campi solari, per ben il 42% di tutto ciò che di fotovoltaico si è istallato nel mondo nel 2008. E massima parte di questi moduli provenivano dall'Asia e dalla Cina (che ormai fanno il 40% della produzione). Poi, a fine 2008 (anche a causa dello scoppio della sua bolla immobiliare e finanziaria) il governo Zapatero ha drasticamente deciso un tetto di un quarto agli ammontari incentivabili. Risultato: un pari taglio secco nelle istallazioni e decine di migliaia di posti di lavoro in libertà. E proprio nel momento in cui numerose nuove fabbriche solari entravano a regime, finanziate dal boom degli anni precedenti. «Con una capacità produttiva quasi raddoppiata - spiega Kai Malkwitz di PvXchange, il maggior portale online sul settore – da 5 gigawatt nel 2008 a circa nove stimati quest'anno».
«Aggiungiamo al menu la crisi finanziaria globale – continua Mints – il crollo dei corsi immobiliari, la caduta dei consumi delle famiglie e il credito congelato. I fondi oggi sono più scarsi per tutti i partecipanti al mercato, siano essi piccoli investimenti immobiliari su tetti solari quanto grandi campi fotovoltaici. Senza contare i flussi di capitale alle start-up».
Risultato: all'inizio del 2009 Navigant stimava circa 1,4 gigawatt di celle, moduli e pannelli accumulati e invenduti nei magazzini, lungo tutta la filiera, dai maggiori produttori fino agli istallatori. «E ciascuno di essi è in concorrenza con tutti gli altri. Di qui la forte spinta al ribasso dei prezzi». Che, tra i produttori asiatici, supera il 20%. Mentre, tra i produttori tedeschi (attestati su un mercato più stabile) per ora non scende oltre il 10%. Ma le punte dei ribassi spesso arrivano al 50%.

Bolla fotovoltaica quindi? È ancora presto per dirlo. Di sicuro i primi effetti del grande programma di stimolo sulle rinnovabili deciso dall'amministrazione Obama non si faranno sentire prima dell'estate, con l'avvio dei primi finanziamenti da parte del Doe (Dipartimento dell'Energia Usa), orientati però più al sostegno della Ricerca e Sviluppo che alla ripresa del mercato. «Che si muoverà davvero - dice Mints - soltanto quando la crisi di fiducia e di credito verrà superata».

Intanto, della guerra dei prezzi dovrebbero in parte avvantaggiarsi i mercati europei. Oltre alla Germania che, secondo Eupd Research, anche nel 2009 dovrebbe continuare a crescere al 6% (fino a quasi 1,8 gigawatt) entreranno in scena la Francia (+43% a 540 magawatt) e l'Italia (+8% a 450 megawatt) mentre la Spagna resterà praticamente ferma. Previsione conservativa, quella di Eupd Research sull'Italia. «Un mercato che negli anni scorsi si è mosso soprattutto sui tetti fotovoltaici delle imprese - spiega Markus Wackerbeck, analista capo – mentre il residenziale non è decollato e i grandi campi fotovoltaici trovano oggi forti difficoltà sia nelle autorizzazioni amministrative che nei finanziamenti».

Esito finale: almeno nel 2009 l'Italia non conoscerà quantomeno il boom drogato spagnolo, che l'anno scorso di fatto ha imposto al governo il blocco degli incentivi. Però, anche, un'opportunità persa: con i prezzi in rapida caduta la possibilità di accelerare sul fotovoltaico (ancora più conveniente, oggi in Italia, nel rapporto tra costi e rendimenti ventennali da tariffa incentivata) limitando il valore importato e anche con un effetto di rafforzamento delle imprese che producono in Italia i moduli, i sistemi, installano e certificano gli impianti.
Durerà non più due - tre anni questa crisi fotovoltaica da sovrapproduzione relativa e da discesa dei prezzi - prevedono gli analisti. Nel frattempo vi sarà una sicura selezione tra le imprese (a favore dei maggior nomi, come Q-Cells, Suntech, Sharp, First Solar e Kyocera) ma poi il mercato ripartirà. «E l'Italia, prevede Winfried Hoffman, presidente dell'Epia (l'associazione fotovoltaica europea) all'appuntamento tra due anni si presenterà probabilmente in condizioni di «grid parity», quindi con la possibilità di ridurre nettamente le tariffe incentivate. Magari destinando i fondi pubblici verso interventi strutturali sulla rete elettrica (compresi cruciali sistemi di storage) in grado di sfruttare pienamente l'energia solare fotovoltaica divenuta adulta».

Coca Padana

La segretaria del gruppo parlamentare della Lega Nord è stata arrestata a Lugano. Aveva otto chili di cocaina nella valigia dentro vaschette avvolte in carta stagnola. Un quantitativo pari a 200.000 dosi.Il commissario ticinese Armando Scano non ha creduto alla modica quantità anche se la coca sequestrata è appena sufficiente per un mese di ronde padane.

I Testimoni di Geova e il terremoto in Abruzzo

La religione può salvare la vita di una persona o farla entrare (in anticipo) nel regno dei cieli. In Abruzzo i Testimoni di Geova si sono salvati, i cattolici hanno raggiunto il Paradiso. I geoviani, prima del terremoto, hanno avvertito i membri della loro comunità del pericolo. Raccomandato di dormire in macchina e di tenere con sé delle valigie con il necessario. Sono tutti sopravvissuti.
Vescovi, arcipreti e parroci non erano al corrente di nulla? Non hanno sentito la necessità di denunciare il pericolo? Forse si, forse no. Le campane delle chiese sono rimaste mute. La voce della Chiesa non ha prodotto la più piccola eco prima del sisma. Se Bertolaso fosse stato un Testimone di Geova gli abruzzesi non avrebbero pianto centinaia di morti. Per Radio Maria il terremoto è stato voluto dal Signore perché anche gli abruzzesi partecipassero alla sofferenza della sua Passione...
"Gentile Signor Beppe Grillo,
chi le scrive lo fa da una parte dell'Abruzzo che, grazie a Dio non ha subito danni, (paura a parte) visto che vive sulla costa.
Non posso darle torto quando sottolinea il fatto che, visto che da mesi l'Aquila era soggetta a forti scosse, si poteva fare di più.
E le segnalo un fatto che lo conferma.
Ho molti parenti e conoscenti che sono appartenenti ai testimoni di Geova. Questa comunità è molto unita pronta a soccorrersi a vicenda e, in occasione del terremoto, le comunità vicine si sono subito mobilitate per soccorrere i confratelli che ne avevano bisogno.
Su richiesta di mio figlio, membro attivo di questa religione, e anche perché desiderosa di rendermi utile, ho reso disponibile la mia casa e mi sono preparata per ospitare una famiglia, (una coppia con due ragazzi) e mi sono preoccupata di quello che poteva servire con urgenza loro, immaginando non avessero più nulla.
Immagini la mia meraviglia nel vederli arrivare con i bagagli al seguito!
Così mi hanno spiegato che già settimane prima, in tutte le comunità de l'Aquila interessate da fenomeni sismici, alle loro riunioni settimanali, era stato suggerito loro come prepararsi ed essere pronti ad un eventuale cataclisma. Era stato trattato con cura l’argomento ed erano state date delle vere e proprio direttive pratiche: preparare valigie con l'occorrente per le prime necessità, non solo abiti ma anche coperte, scorte di viveri e bottiglie d'acqua. Tenere sempre le macchine pronte e cariche ma evitare di parcheggiarle nei garage ma parcheggiare al sicuro, in spazi aperti. Tenere sempre i telefonini a portata di mano.
Tutto questo tratto da un articolo del giornalino "Svegliatevi" che era stato stampato l'anno scorso e che trattava proprio di questo.
Infatti, dei più di 200 testimoni di Geova cittadini dell'Aquila nessuno è rimasto vittima del sisma. E so di sicuro che molti altri, parenti e vicini di casa devono almeno la vita a queste informazioni.
Tutto questo mi ha lasciato a bocca aperta!
Incredibilmente, seguendo pochi ed utili accorgimenti una piccola comunità religiosa ha salvato molte vite! Ma allora mi chiedo: cosa sarebbe successo se l'intera città avesse avuto le stesse pratiche informazioni?
Ora lascio a lei trarre le opportune conclusioni.
Un grosso GRAZIE dal profondo del cuore per le sue battaglie!" M. B.

Biblioteca universale gratuita patrocinata dall'UNESCO

Di Giovanni Arata

Una cartina dei cinque continenti incorniciata su sfondo blu e, dentro, le miniature di nove opere rare tra mappe, manoscritti, fotografie d'epoca. Sono queste le immagini che accolgono il visitatore di World Digital Library (WDL, http://www.wdl.org/en/), la biblioteca globale online appena inaugurata dall'UNESCO. Dentro il sito c'è molto di più: sono oltre 1200 le opere rare, provenienti da ogni epoca e luogo, disponibili per il navigatore in forma completamente accessibile e gratuita.

WDL

L'idea per WDL, inaugurata presso la sede parigina dell'UNESCO, è stata lanciata nel 2005 dal Direttore della Library of Congress statunitense James H. Billington. Ma negli anni successivi, spiega 01Net, hanno aderito al progetto una quantità di biblioteche nazionali e istituzioni culturali di ogni parte del mondo, ed oggi il sito conta su collaborazioni di ogni tipo e provenienza.
Il risultato è un fondo di oltre 1200 pezzi rari, appartenenti ad età e spazi geografici differenti. È allora possibile visualizzare opere antichissime come un manoscritto giapponese di poco precedente l'anno mille o navigare all'interno della prima mappa rinascimentale recante la dicitura "America".

Inoltre, osserva CrunchGear, i progettisti hanno associato a ciascun "pezzo" una scheda descrittiva, disponibile in sette lingue. E, per facilitare le ricerche, il motore accoglie indicizzazioni differenziate per area geografica, periodo storico, tipologia di documento, tema.

L'obiettivo dell'iniziativa, ha spiegato Billington nel corso della conferenza stampa di presentazione, è quello di "promuovere la comprensione e lo scambio tra paesi e culture differenti".

Dal brutale punto di vista dei numeri, la portata di WDL è ancora piuttosto circoscritta: difficile raffrontare i poco più di mille pezzi qui proposti con gli oltre sette milioni già digitalizzati da Google Book Search, od i cinque di Europeana. Allo stesso tempo, i responsabili sottolineano che quella varata nei giorni scorsi è solo la fase 1 di un progetto che potrebbe conoscere sviluppi molto più ampi. "WDL è un progetto aperto, e oggi non sappiamo quanto grande potrà diventare - ha detto ancora Billington - Fino ad oggi, il nostro obiettivo è stato quello di definire uno standard di qualità elevato, sul quale poter costruire. La quantità verrà successivamente".

WDL potrebbe altresì porre nuovi problemi anche in materia di copyright. Stando a quanto riportato nelle note legali del sito, infatti, l'impiego di ogni dato documento deve tenere conto delle normative in vigore nel paese di provenienza, ma anche di quelle internazionali e di quelle in vigore nel paese di destinazione. E considerando che alcuni pezzi sono vecchi di migliaia di anni, si tratterebbe senz'altro dell'applicazione delle normative sul copyright più estensive di sempre.

I deputati inglesi si allungano le ferie: Parlamento chiuso per 12 settimane

Fa piacere sapere che la classe politica europea è costituita uniformemente da cialtroni.

Saranno ben 82 i giorni di vacanza dei deputati del parlamento britannico quest'estate. L'Evening Standard fa sapere che per le vacanze estive i parlamentari britannici si sono autoregalati una settimana in più, arrivando così a staccare la spina dal 22 luglio per ben 12 settimane. Immediate le polemiche, da parte dell'opposizione, ma anche di esponenti laburisti, per la quale il programma di governo è talmente succinto che di fatto i parlamentari non hanno di cosa occuparsi.

I conservatori attaccano invece direttamente il premier Gordon Brown (la decisione sulle ferie viene presa dai leader parlamentari della maggioranza laburista), chiedendogli di intervenire per far cambiare questa decisione. «Nel mezzo di una delle peggiori recessioni che questo paese ha dovuto affrontare e con l'attuale calo di fiducia nei politici - ha detto all'Evening Standard il leader del partito liberal-democratico, Nick Clegg - la gente sarà quantomeno stupita di sapere che il parlamento non si riunirà per 82 giorni».

venerdì 17 aprile 2009

Lucio Stanca, uno stipendio "responsabile"

Lucio Stanca, è stato il responsabile del portale italia.it del costo di 45 milioni di euro. Il portale non decollò mai e fu chiuso per disperazione da Rutelli.
EXPO 2015 non poteva fare a meno di questo insigne personaggio. E' stato nominato amministratore delegato di EXPO 2015 spa. Compenso 450.000 euro l'anno. 300.000 fissi e 150.000 di bonus. E' stato ringraziato dalla Lega per "il suo senso di responsabilità". Stanca infatti si è accontentato. Prima aveva chiesto 750.000 euro.
Ma quando cominceremo a parlare di tetto per gli incarichi pubblici?
Ma quando interdiremo veramente le persone dai pubblici uffici a vita?
Mah...

Riso geneticamente modificato

La Bayer ha inventato un riso geneticamente modificato.
Invece di creare una pianta che possa resistere nei paesi sottosviluppati, hanno deciso di creare una pianta piu' produttiva per i paesi piu' industrializzati, ma sterile! In questo modo i contadino sono obbligati a comprare ogni anno i semi alla Bayer!
Il parlamento europeo deve decidere se permettere che questo riso possa essere utilizzato nei nostri paesi.
Greenpeace ha attivato una petizione contro questa creazione che non aiuta veramente l'agricultura, ma la "ricatta"; contro un prodotto di cui non si sanno gli effetti nel lungo periodo e che pare solo una bieca operazione commerciale per guadagnare sulla nostra salute.
Se volete firmare la petizione, al trovate al seguente indirizzo:
http://www.greenpeace.org/international/campaigns/genetic-engineering/hands-off-our-rice/hands-off-our-rice

Fumare fa male, in America la Philip Morris è costretta a pagare

La Philip Morris deve rassegnarsi: dovrà pagare la vedova di un fumatore che ha fatto causa. Lo ha stabilito la La Corte Suprema degli Stati Uniti, mettendo così fine a un braccio di ferro durato dieci anni tra la Philip Morris, appunto, e la donna, che accusava il colosso delle sigarette di non fornire informazioni sufficienti sui rischi da fumo. I giudici di Washington hanno respinto l'appello della multinazionale confermando una sentenza che condanna a pagare danni per 79,5 milioni di dollari (saliti a 145 con gli interessi).
La decisione della Corte è l'epilogo della vicenda che ha visto protagonista Mayola Williams, vedova di Jesse Williams, un custode di Portland (Oregon) che aveva cominciato a fumare negli anni '50, durante il militare, ed è morto nel 1997 per un tumore al polmone. La donna poco tempo dopo avviò l'azione legale contro Philip Morris, sostenendo che la società andava ritenuta responsabile per aver lasciato credere ai fumatori che i propri prodotti non creano dipendenza.
Lo stato dell'Oregon si è affiancato in questi anni alla vedova e riceverà il 60% del risarcimento - se la vicenda non avrà altri sviluppi giudiziari - destinandolo a un fondo per le vittime di crimini violenti. Un giudice aveva ritenuto Philip Morris colpevole e la Corte suprema dell'Oregon nel 2002 aveva respinto la richiesta di appello. La stessa decisione è arrivata adesso dai giudici di Washington, nei quali l'industria del tabacco confidava per una sentenza che mettesse un freno ai maxi-risarcimenti. Ma la Corte Suprema si è limitata a non accogliere la richiesta d'appello, senza motivazioni.

Pacchetto Telecom al voto, blocco dell'internet libero?

Gaia Bottà

Una rete in cui il cittadino è telespettatore, una rete soggetta alle istanze dei detentori dei diritti. Emendamenti e votazioni, dibattiti e aggiustamenti: il Pacchetto Telecom sta progressivamente assumendo una forma. Quelli che ora sembrano punti fermi, osservano in molti, potrebbero irreggimentare la rete, trasformarla in un servizio controllato dall'industria dei contenuti, privarla della neutralità.

Le istituzioni europee si sono riunite nei giorni scorsi per affinare il testo delle disposizioni e per prepararle ad essere messe al voto. Alla Commissione Mercato Interno (IMCO) sono stati sottoposti testi ed emendamenti: IMCO, nell'intervenire sulla Direttiva Servizi Universali, sembra essersi espressa a favore di una rete alla mercé dei provider. Ha infatti dominato la linea tracciata dal rapporto stilato da Malcom Harbour, relatore che, nella propria attività in Europa, sembrerebbe mostrarsi sensibile alle istanze dell'industria dei contenuti. Ha sbaragliato la possibilità di prendere in considerazione certi emendamenti che avrebbero garantito tutele al cittadino in linea con quanto approvato nel rapporto Lambrinidis: filtraggio e potere discrezionale agli ISP, che si troverebbero in una posizione privilegiata per avvantaggiarsi o per stringere alleanze strategiche con i detentori dei diritti, denuncia ad esempio il candidato svedese all'europarlamento Erik Josefsson, veicolando contenuti e servizi attraverso corsie preferenziali e corsie discriminate.

Via libera dunque a non meglio precisate "politiche di gestione della rete". L'obbligo al quale saranno sottoposti i provider sarà semplicemente quello di informare i propri utenti: nel contratto che stipuleranno con i cittadini dovranno indicare le "condizioni che limitano l'accesso o l'uso dei servizi e delle applicazioni", dovranno garantire informazioni riguardo ad "ogni procedura di analisi del traffico e di traffic shaping messa in campo" al fine di non sovraccaricare l'infrastruttura.
Sembrano ora mancare i riferimenti alla proporzionalità nell'utilizzo di queste misure, che erano contenuti nell'emendamento conosciuto in prima lettura come 166: ai provider non viene più raccomandato di soppesare l'introduzione di strumenti per la gestione del traffico tenendo contro della loro effettiva necessità e limitandone il raggio d'azione in modo che non ostacolino "lo sviluppo della società dell'informazione" e che non collidano con "i diritti fondamentali del cittadino, incluso il diritto alla privacy e il diritto ad un giusto processo". L'emendamento è per ora in fase di stallo, verrà ridiscusso.

A presidio dei diritti del netizen ci sarebbe dovuto altresì essere l'emendamento noto come 110, che prevedeva che i provider non fossero coinvolti nel controllo di ciò che i cittadini avessero fatto della connettività, se non sotto l'ordine dell'autorità giudiziaria. L'emendamento è stato modificato: potrebbe agevolare, presso gli stati membri, l'introduzione di sistemi di risposta graduale come quello che la Francia ha ormai innestato nel proprio quadro normativo.

A tutela dei netizen europei nei confronti di meccanismi fatti di giustizia privata, di sorveglianza, di avvertimenti e di disconnessioni avrebbe inoltre dovuto agire l'emendamento 138. Introdotto nel Pacchetto Telecom nei mesi scorsi, stralciato e di nuovo reintrodotto dalla parlamentare europea Catherine Trautmann, avrebbe dovuto impedire che calassero ghigliottine deterrenti e punitive sulle connessioni, sul diritto del cittadino a informarsi e ad esprimersi. Nel corso del trilogo tra le istituzioni europee, sotto le pressioni di Francia e Regno Unito, la disposizione ha subito delle modifiche: non rappresenta più un paletto all'avvento di un regime di risposta graduale che culmina con il blocco dell'erogazione di connettività. Si tratterebbe ora di una semplice raccomandazione non vincolante.

Ma non è tutto: se la prima versione dell'emendamento imponeva che fosse l'autorità giudiziaria l'unica a poter agire sulle libertà del cittadino, ed eventualmente a poterle comprimere per sanzionare comportamenti illegali, il testo del frammento dispone ora che non sia necessariamente l'autorità giudiziaria ad essere investita da questa responsabilità, ma siano invece "le autorità che la legge definisce competenti". L'Hadopi francese, ad esempio, l'Haute Autorité pour la diffusion des ouvres et la protection des droits sur Internet, che non sarà composta da magistrati, avrà libertà di imporre identificazioni e disconnessioni in quanto riconosciuta dalla legge. Sarà la Commissione Industria, ricerca e energia (ITRE) a doversi esprimersi a riguardo in una votazione che, salvo variazioni di programma, avverrà il 21 aprile.

Il voto finale al Pacchetto Telecom è previsto per il 5 maggio. I cittadini della rete hanno organizzato la resistenza, bast avedere http://alessandrobottoni.wordpress.com/2009/04/02/la-resistenza-al-telecom-package/

martedì 24 marzo 2009

Wikileaks chiede fondi

Wikileaks arranca: non vacilla sotto gli affondi dei governi e delle aziende di cui ha ospitato i segreti, è affaticata dal traffico che si sta riversando sulle sue pagine. L'home page è una esplicita richiesta di aiuto.

"Wikileaks è attualmente sovraccarica di utenti - spiegano dal sito che promette di pubblicare materiale incensurabile - questo è un problema comune che può essere risolto solo mettendo in campo risorse aggiuntive". L'infrastruttura del servizio non regge il peso dei cittadini della rete che vi si riversano per conoscere quello che non potrebbe trapelare attraverso i canali ufficiali.

Il sito ha di recente dato spazio alla soffiata con cui si rendeva pubblica una presunta lista nera dei siti filtrati dalle autorità australiane. Pubblicazione che ha mobilitato il ministro delle comunicazioni locale Stephen Conroy: ha provveduto a smentire l'originalità della blacklist e a minacciare denunce che sarebbero potute sfociare in conseguenze legali particolarmente pesanti. Coloro che si celano dietro a Wikileaks non si sono lasciati intimidire: hanno spiegato che la Svezia, paese in cui sono localizzati i server, protegge le fonti anonime e prevede sanzioni penali per coloro che violino questo diritto alla riservatezza.
Proprio per gli attriti che si sono intrattenuti con le autorità australiane, sono in molti a speculare che l'improvvisa irraggiungibilità di Wikileaks sia in qualche modo connessa con la pubblicazione della blacklist. Il sito non fa alcun accenno alla questione: semplicemente, per consolidare la propria infrastruttura e per tornare a rendere pubblici documenti che potrebbero cambiare il corso della storia, chiede un contributo ai cittadini della rete. Possibilmente, in tagli che oscillano tra i 25 e i 250 dollari.

La festa del pirata

Per chi si troverà a Roma il 28 Marzo ci sarà la festa del pirata, dalle ore
10 al Teatro delle Arti, piazza Giovanni da Triora:


Nel ventennale del WWW gli hacker si riprendono la rete e invitano tutti
alla "Festa del Pirata". Il 28 marzo a Roma, in una località che si vuole
ancora segreta, si ritroveranno tutti coloro che hanno deciso di non
tollerare oltre la mania legislativa che negli ultimi anni ha colpito
Internet, con il probabile risultato di renderla meno libera e meno
inclusiva. La festa è però soprattutto una risposta all'ossessione
securitaria manifestata da ex attori, attrici, giornalisti e politicanti
nostrani per dire che "esiste un'alternativa alla società del codice civile e
del codice a barre" e che questa alternativa è una "GPL society", una società
basata sulla cooperazione e sulla condivisione, strategie per sviluppare il
potenziale umano e fare il mondo migliore di come le generazioni precedenti
l'hanno lasciato: ingiusto, inquinato, pieno di guerre.

Organizzata come un flash mob con le indicazioni per arrivare che saranno
diramate su forum e via SMS poco prima dell'evento, il ritrovo sarà occasione
di discussione e approfondimento sulle tematiche della libera comunicazione,
del diritto alla privacy, della critica del copyright, ma diversamente da
incontri accademici e paludati, facendo uno sforzo eccezionale per rendere
comprensibili anche ai non addetti ai lavori argomenti complessi. E
innalzando insieme la bandiera della ribellione.

"Se presto il software ad un amico sono un pirata, se scambio un film sono un
pirata, se prima di comprare musica me la scarico e me la ascolto... sono un
pirata, beh... allora sono un Pirata!": così ci dice uno degli organizzatori
che non vuole dare neppure il suo nickname. E ancora "Siamo quelli che di
giorno gestiscono i backbone delle Telco, lavoriamo al chiodo per garantire
la sicurezza della tua azienda, ma di notte produciamo software libero e
contenuti liberi da copyright. Lo volete capire o no?". Schizofrenia? Forse.
Ma quello che i pirati vogliono dire forte al mondo è che il secolo del disco
è finito (lo dice anche Ernesto Assante nel suo ultimo libro: "Copio dunque
sono"), che sono stufi di veder lucrare le major sulle loro intuizioni, sulla
cultura collettiva, chiudendola con un marchio e spremendo come limoni gli
artisti. "La cultura è di tutti - denunciano - I vostri profitti sono il
nostro lavoro: è ora di condividerli!"
Questo è il popolo dei "pirati". Persone che non credono più al mito
dell'artista affamato che sarebbe danneggiato dal download illegale di
musica - 140 artisti inglesi si sono appena dichiarati a favore del libero
download musicale - che hanno dimostrato che il peer to peer può essere
applicato al mondo dei commerci online, e che smette di comprare film perché
è più divertente farseli da soli. Dice L@@p a Punto Informatico: "E poi la
rete è piena di cose autoprodotte che è assolutamente lecito scaricare e
condividere. Non è solo software libero, ma musica libera, film liberi e
libri no-copyright. Perché non dovremmo?".

Perciò alla festa, fra le attività previste ci sarà un corso pratico di P2P
per l'aspirante pirata, per gente che vorrebbe scaricare ma è intimidita
dalla tecnologia. Una sorta di laboratorio in cui saranno presentati i
software client P2P più diffusi, indicate le destinazioni dove si trovano
materiali da scaricare, illustrati i pericoli da evitare, spiegato come
godere del "bottino" accumulato. Alla festa si parlerà dell'esperienza di The
Pirate Bay e di Piratbyran, e sarà proiettato Steal this film, documentario
sulla retata della polizia svedese contro The Pirate Bay nel 2006,
autoprodotto dalla "League of Noble Peers" e distribuito come torrent. Una
storia ben raccontata nel libro La Baia dei Pirati, assalto al copyright, di
Luca Neri (Cooper editore). Sembra scontata la partecipazione di
ScambioEtico, l'unica realtà italiana che gestisce apertamente un tracker
torrent come atto di disobbedienza civile. Uno sparuto gruppetto il cui sito
genera un traffico da far invidia a una media holding e aggrega una comunità
molto vivace di giovani appassionati di BitTorrent.

Nell'incontro saranno passate ai raggi X le proposte di legge che vorrebbero
imbavagliare Internet e probabilmente ci sarà anche una testimonianza del
blogger siciliano Carlo Ruta condannato per stampa clandestina.

Per finire, un corso di autodifesa per il cibernauta, teso a spiegare gli
strumenti che aiutano ad aggirare la censura e a difendere l'anonimato delle
comunicazioni in rete (da Open DNS ai servizi proxy, da TOR a Anonet, dal PGP
ai sistemi di darknet). "Perché - racconta a Punto Informatico Capitan Luke -
anche gli italiani potrebbero essere presto costretti a utilizzare gli stessi
tool creati dagli hacktivisti per aiutare i dissidenti che vivono nei paesi
totalitari". "Uno di questi è TrueCrypt - ricorda - per blindare l'hard drive
esterno dagli occhi indiscreti degli sbirri del copyright che domani ti
entreranno tranquillamente in casa".

Surreale? Provocatorio? Vista l'incapacità dei media italiani di affrontare
con competenza le questioni della rivoluzione digitale forse è una scossa
utile, anche per il mondo della politica. A questo proposito gli animatori
dell'evento stanno organizzando "L'uncino d'oro", un premio da conferire al
Ministro degli interni Bobo Maroni, per essersi pubblicamente autodenunciato
come downloader incallito, nel 2006, in un'intervista a Vanity Fair, in
quanto "favorevole alla libera scaricabilità della musica".

Attenti all'Ipod shuffle!

Notizia curiosa: il nuovo Ipod shuffle non accetta che cuffie originali della Apple, ma solo quelle di ultima generazione o cuffiette certificate da Apple attraverso l'inserimento di un particolare chip. Chiunque comprasse cuffie "compatibili" con l'ultimo lettore della Apple (o "vecchie" cuffie Apple) potrebbe ritrovarsi una sgradita sorpresa (notizia confermata da Apple stessa perchè vogliono "garantire la qualità"):

Nonostante i vari prodotti destinati al settore personal audio (comprendente anche quell'iPhone che altro non è che un iPod Touch che telefona e manda SMS) siano stati osannati da critica e appassionati in termini di funzionalità e user experience, lo stesso non può essere detto degli auricolari di serie forniti dall'azienda di Cupertino, che in molti invitano a sostituire con dispositivi più performanti. Una questione da audiofili, ma che sembra divenire una sorta di giallo dopo il recente lancio della nuova versione di iPod Shuffle, il primo player musicale della casa dotato di comandi in linea integrati sugli auricolari: le prime recensioni del prodotto hanno dimostrato come i precedenti set di auricolari con comandi non funzionino sul nuovo arrivato della famiglia. Ciò sembrerebbe essere dovuto alla presenza di un misterioso chip integrato nel corpo del telecomando integrato nelle cuffie il cui compito sarebbe secondo qualcuno quello di ammettere alla festa solo l'hardware certificato, dietro pagamento di licenza, da Apple.

Tra i primi ad accorgersi che qualcosa non andava è stato lo staff di BoingBoing che, testando un paio di cuffiette dotate di comandi in linea, ha notato come non vi sia apparente compatibilità tra i vecchi dispositivi certificati per iPod e il nuovo player giunto alla terza generazione. Sulle prime si era pensato che il malfunzionamento fosse dovuto alla nuova interfaccia introdotta da Apple, gestita da un unico tasto per le funzioni di play/pause e skip, nonché per la selezione delle differenti playlist. Analizzando con più precisione il corpo dei comandi al suo interno, è saltata subito agli occhi la presenza di un minuscolo chip, la cui dicitura riporta il codice 8A83E3, posizionato sotto i tasti.

In attesa di notizie ufficiali da parte di Cupertino, la scoperta del minuscolo chip genera una serie di ipotesi: la più accreditata in rete sembrerebbe essere al momentoquella che vede Apple intenzionata a veicolare al meglio il lavoro di altri produttori costringendoli a costruire cuffiette compatibili solo dopo aver pagato le necessarie licenze alle casse di Cupertino. Del resto, il dispositivo funziona solo ed esclusivamente con le cuffiette di serie o meglio, non avendo i tasti può essere manovrato solo con le cuffie di serie. "Questo è, in breve, uno scenario da incubo per gli appassionati di lungo corso di iPod" dichiara Jeremy Horwitz di iLounge, tra i primi a segnalare l'intera vicenda. "Stiamo forse entrando in un mondo in cui Apple controlla e tassa ogni singolo prodotto che ruota intorno ad iPod, alzando ulteriormente i prezzi e forzando i consumatori a comprare nuovamente hardware già in loro possesso a fronte di marginali cambiamenti nella loro funzionalità?", si interroga.
Al contrario, da quanto si evince dalla pagina relativa al prodotto sul sito di Apple, i controlli delle nuove cuffiette funzionano anche con le ultime versioni di iPod Nano, iPod Classic e iPod Touch. Per le versioni precedenti, il dispositivo si comporta come un normale paio di cuffiette e i comandi in linea sono del tutto inutili. Ciò induce a pensare che il progetto era nell'aria da ben prima che l'intera linea di lettori multimediali fosse rinnovata ed aggiornata. Inoltre, secondo iLounge, utilizzando cuffiette diverse da quelle made in Cupertino si udirebbe anche un fastidioso ronzio emesso dal lettore "alla ricerca del chip mancante".

Il vero nocciolo della questione, comunque, sembrerebbe ruotare intorno Chiunque voglia costruire un dispositivo totalmente compatibile dovrà sottostare alle politiche della Mela pagando il dovuto (sembrerebbe $1, ma dopo verifica di Apple), poiché in caso contrario Apple potrebbe rivendicare i propri diritti sotto le normative del DMCA in caso di reverse engineering non autorizzato.
Tutti i dispositivi compatibili arriveranno sul mercato con un prezzo non inferiore ai 40 euro, mentre gli adattatori si aggireranno intorno ai 20/30 euro: considerato che il dispositivo viene venduto a 75 euro, la somma totale per poter usufruire di altre cuffie sarebbe di 115 euro, un costo che a molti potrà sembrare esagerato dal momento che con ulteriori 24 euro è possibile acquistare un iPod Nano che ha il doppio della capacità, permette di guardare i video e di ascoltare musica con qualsiasi dispositivo.

ACTA: il mistero si infittisce

ACTA coinvolge la sicurezza nazionale, il trattato anticontraffazione che si sta negoziando fra i paesi di mezzo mondo non verrà mostrato al pubblico, non in questo momento. Così ha decretato l'amministrazione Obama.

I rappresentanti di Unione Europea, Stati Uniti, Australia, Canada, Giappone, Corea, Messico, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore e Svizzera convergono periodicamente in incontri blindati: il patto anticontraffazione striscia negli uffici dei colossi dell'industria dei contenuti, prende consistenza nei Palazzi, si manifesta di quando in quando in estratti trapelati da fonti anonime e rilanciati online. Ma le istituzioni non si mostrano disposte a coinvolgere i cittadini nel dibattito, né a mostrare in maniera trasparente quanto fermenta intorno a ACTA.

Il patto, ancora immerso nel mistero, è al centro dell'interesse di numerose associazioni di cittadini della rete: al di qua e al di là dell'Atlantico sono innumerevoli le organizzazioni che hanno fatto appello alle autorità per conoscerne i dettagli, per fugare dubbi o per mobilitarsi: i frammenti emersi finora sembrano suggerire che ACTA contenga disposizioni che possano irrigidire la tutela della proprietà intellettuale online e alle frontiere con filtri e perquisizioni, strumenti che possano caricare gli intermediari della rete di responsabilità nel combattere i traffici illegali di contenuti. L'ultima di queste richieste era stata inoltrata da Knowledge Ecology International alla fine del mese di gennaio: l'organizzazione si era rivolta all'Office of the United States Trade Representative della Casa Bianca per chiedere chiarimenti e la pubblicazione di una manciata di documenti.
Così come avvenuto nel quadro europeo, in risposta alla richiesta di trasparenza di Foundation for a Free Information Infrastructure (FFII), l'amministrazione si è negata, ha negato ai cittadini della rete la possibilità di conoscere ACTA. Se l'Europa aveva rifiutato la trasparenza spiegando che la pubblicazione dei documenti avrebbe potuto influire sul dipanarsi del dibattito fra le parti interessate, le motivazioni addotte dallo US Trade Representative, in linea con il responso fornito in relazione alla richiesta inoltrata da EFF, attengono alla sicurezza nazionale. Si tratterebbe di informazioni classificate, classificate per tutelare i cittadini da minacce non meglio precisate. Nessun altro dettaglio: se c'è chi ha osservato che negli States la decisione di etichettare un documento come segreto implica necessariamente che l'autorità che gli ha attribuito un tale status elenchi le motivazioni e le minacce che una diffusione del documento potrebbe porre nei confronti dei cittadini, KEI sottolinea come il documento sia segreto ai soli occhi del cittadino.

Sono innumerevoli gli anelli della catena dell'industria della proprietà intellettuale che stanno partecipando ai processi di negoziazione e che hanno a disposizione una base su cui edificare il prossimo futuro della tutela della proprietà intellettuale. Ci sono rappresentanti della farmaceutica come Eli Lilly e di attori delle biotecnologie, ci cono rappresentanti di coloro che producono e gestiscono contenuti come RIAA e Time Warner, ci sono colossi della tecnologia come Cisco e IBM. Avanzano proposte e dialogano con le istituzioni e c'è chi paventa che sullo scacchiere internazionale il quadro si vada configurando in proposte di regolamentazione che i governi stanno progressivamente valutando e introiettando. Attribuendo ad esempio agli intermediari della rete la responsabilità di agire concretamente nella tutela della proprietà intellettuale.

Ma se gli States hanno più volte negato ai cittadini la possibilità di sapere di più su ACTA e si sono limitati a contenere le perplessità delle parti non coinvolte, le istituzioni europee potrebbero far seguire i documenti veri e propri alle rassicurazioni già diramate nei mesi scorsi. Il Parlamento Europeo ha approvato un emendamento ad una proposta di regolamento in materia di accesso dei documenti da parte dei cittadini, e potrebbe costringere la Commissione alla trasparenza. Il Canada promette nel contempo di voler rilasciare i documenti relativi ad ACTA quanto prima, o perlomeno di intervenire per dissolvere la percezione dell'alone di segretezza che avvolge le negoziazioni con cui si sta costruendo ACTA.

Speranze per riprendere la vista

Ron, un uomo inglese di 73 anni completamente cieco da 30, ha ricominciato a vedere sette mesi fa, quando all'ospedale londinese Moorfields Eye gli hanno impiantato un sofisticato dispositivo di visione noto come Argus II. In questi mesi Ron ha "visto la luce", letteralmente, dopo tre decadi di buio, e l'equipe medica che lo ha operato si aspetta di vedere risultati sempre migliori in futuro grazie al progressivo adattamento del cervello al cyber-occhio.

Al Moorfields Eye hanno già sperimentato Argus II, prodotto dall'azienda statunitense Second Sight, su tre pazienti incluso Ron. In tutti i casi l'occhio bionico consiste nell'installazione, sulla base dell'occhio a diretto contatto con la retina, di un chip dotato di elettrodi sensibili ai segnali luminosi, che passano da una minuscola videocamera montata su un paio di occhiali scorrendo attraverso un cavo di comunicazione installato nel bulbo.

Il risultato pratico è che il microchip fa da sostituto alla retina malfunzionante, cercando di sopperire al senso naturale della vista pesantemente danneggiato da una malattia degenerativa dagli effetti devastanti nota come retinite pigmentosa. "Per 30 anni - dice Ron alla BBC - non ho visto assolutamente nulla, è stato tutto scuro, ma ora la luce è tornata a passare. Essere all'improvviso capaci di vedere ancora la luce è veramente meraviglioso".
Dopo decenni di buio, ora Ron è in grado di seguire le strisce bianche per strada, sistemare i calzini bianchi separando i bianchi da quelli grigi e neri, fare la lavatrice, e spera, un giorno, di poter uscire una sera e vedere la luna all'orizzonte. Lyndon da Cruz, il chirurgo che ha operato Ron, si dice "molto incoraggiato dai progressi della sperimentazione", l'impianto ha funzionato stabilmente per sei mesi e il paziente ha sperimentato "percezioni visive consistenti generate dal dispositivo".

Argus II rimane una tecnologia "stimolante per la possibilità di fare un passo avanti molto reale e tangibile nel trattamento dei pazienti con una perdita totale della vista", dice il chirurgo, avvisando che ci vorranno ancora due anni prima della fine delle sperimentazioni e che il successo effettivo dell'occhio bionico di Second Sight va ancora testato a fondo.

La stessa società produttrice, per bocca di Gregoire Cosendai, si dice d'altronde fiduciosa sulle qualità di Argus II, che in teoria dovrebbe fornire alle persone "un livello di visione ragionevolmente buono". Un risultato, questo, che non è ancora stato raggiunto in pieno, ma che rimane nelle possibilità della tecnologia e dei suoi eventuali sviluppi.

venerdì 20 marzo 2009

Controllare internet

È stata una settimana delirante. Non era evidentemente bastato l'articolo del decreto sicurezza approvato dal Senato della Repubblica attraverso il quale le autorità italiane, preoccupate di perseguire l'apologia di reato ed altri reati di opinione, potranno con paciosa semplicità decidere di chiudere all'utilizzo dei cittadini italiani intere piattaforme sociali come Facebook. Un articolo di legge capace di generare commenti e malcelate ironie da parte della stampa di tutto il mondo non era evidentemente sufficiente a placare l'ansia formidabile di controllo che questo governo, e l'intero Parlamento del paese, mostrano di avere nei confronti della rete Internet. Così, nei giorni scorsi, si sono aggiunti un curioso disegno di legge dell'Onorevole Carlucci sulla regolamentazione di Internet ed una ammissione di paternità dell'Onorevole Barbareschi sulla bozza di normativa antipirateria circolata in rete nelle ultime settimane e inizialmente attribuita alla SIAE.

Mi mancano forze e volontà per raccontare ancora una volta, punto per punto, come mai questi tentativi regolatori siano palesemente sbagliati, sono certo che altri lo faranno meglio di me. Non mancano del resto su questo giornale e un po' dappertutto in rete le analisi puntuali in questo senso, unite ad un sincero e diffuso "inorridimento". Mi sembra però di poter individuare due punti di contatto evidenti che avvicinano fra loro queste ipotesi normative.

Il primo aspetto è che simili tentativi sono accomunati da una straordinaria e patente ignoranza delle materie in esame. Nella stragrande maggioranza dei casi non esiste probabilmente alcun lavoro preparatorio alle proposte avanzate, non si intravede la consultazione pur minima di alcun esperto della materia, ne l'adesione ad una qualche linea di pensiero fra le tante possibili fra quelle esistenti in campo tecnologico. La grossolanità di simili prese di posizione è da un lato la ragione che facilita l'ironia greve dei commentatori internazionali, dall'altro non fa altro che riaffermare quale sia l'arroganza e l'impreparazione dei nostri legislatori.
Lo stesso senatore D'Alia, incalzato da una gentile intervista telefonica di Alessandro Gilioli dell'Espresso, ha chiarito come meglio non si sarebbe potuto la sua distanza dalla materia che lui stesso propone di normare. Quattro frasi fatte contro i mafiosi su Facebook purtroppo non sono sufficienti a far emergere dalle acque una norma sensata. E l'unico risultato possibile di una simile avventatezza è quello di sollevare l'ilarità altrui o di ricordare ai più catastrofisti le analogie imminenti con paesi come la Cina o la Birmania.

Il secondo aspetto per conto mio significativo, è che non esiste oggi una responsabilità limitata ai "faciloni" del governo di centro-destra. L'humus sul quale nascono simili proposte di legge accomuna parlamentari di entrambi gli schieramenti, senatori novantenni ed eletti di prima nomina (come Marianna Madia del PD, classe 1980 che sul suo blog si è abbondantemente spesa per la necessità di allontanare per legge tutti i cattivi dalla rete). Questo è forse l'aspetto più preoccupante di tutta la vicenda. Nel nostro Parlamento una cultura minima della rete non esiste. La grande maggioranza dei nostri eletti misconosce la centralità di Internet nelle dinamiche dello sviluppo tecnologico. La rete viene considerata una piccola variabile spegnibile, esattamente come un elettrodomestico di cui è possibile fare a meno senza eccessivi impicci. I segnali di questa noncuranza sono ormai quotidiani e incontrovertibili.

Qualche giorno fa la polizia postale, utilizzando una norma approvata ai tempi del mai compianto Ministro Gentiloni, ha celato alla navigazione dei cittadini italiani (e solo a loro) un intero server di Image Shack (un servizio di store fotografico online molto utilizzato in tutto il mondo). Le ragioni di una simile paterna preoccupazione è che "probabilmente" su tale server qualcuno aveva caricato una o più immagini a carattere pedopornografico (così almeno recita il disclaimer sulla pagina). In tempi normali (ed anche oggi probabilmente nei paesi normali) sarebbe bastata una mail al servizio abuse di ImageShack e la rimozione sarebbe stata istantanea come avviene di norma in odiosi casi del genere. Oggi invece in Italia è sufficiente aggiornare una lista di DNS presso gli ISP italiani e il gioco è, per modo di dire, fatto. L'immagine presunta pedopornografica viene celata (anche questo per modo di dire, visto che basta usare DNS differenti per superare il blocco) insieme a molte migliaia di altri contenuti perfettamente legali. La domanda che a nessuno sembra interessare è: quanto contano questi contenuti legali? Che dignità hanno nella mente di coloro i quali decidono arbitrariamente di oscurarli ad una intera nazione? Molto poco evidentemente, esattamente come Facebook per il senatore D'Alia.

C'è una necessità urgente di affermare una dignità minima della rete Internet, come punto nodale dello sviluppo non solo tecnologico del paese ma anche e soprattutto come luogo di una sua possibile rinascita culturale: tutto questo oggi, in Italia, nei palazzi della politica, semplicemente non è possibile. Predomina invece una idea della rete Internet come di un luogo insidioso e pericoloso, un decennio di pessima stampa al riguardo ha infine ottenuto i suoi risultati.

Non è, ovviamente, solo colpa dei media o di una classe politica del tutto inadeguata, le responsabilità sono ampie e condivise e interessano certamente anche i cittadini, incapaci di organizzare una minima risposta a questa folle ansia di controllo che da qualche tempo avvolge l'intero Paese. Ma non c'è oggi maniera migliore dell'osservare cosa accade nella Internet italiana che vedersi scorrere davanti agli occhi il film al rallentatore di uno stato di diritto che si trasforma in uno stato di polizia.

Massimo Mantellini

Google vi segue sempre!

Volete sapere dove si trova una persona ogni volta che volete, se avete il suo cellulare Google ve lo dice:

La moglie che vuole tenere d'occhio il marito, il fidanzato geloso che vuole conoscere gli spostamenti della sua promessa sposa, il genitore apprensivo che non perde occasione per tenere sotto controllo i figli. Oppure due semplici amici che vogliono tenersi in contatto anche se vivono in due posti diversi: la nuova funzione di Google Maps si chiama Latitude, e consente tutto questo. Certo, a qualcuno potrebbe far paura l'idea che tutti sappiano sempre tutto di dove si è e di cosa si fa: ma si può sempre spegnere il telefono se non si vogliono correre rischi.

Per funzionare, Latitude sfrutta le antenne GPS sempre più spesso presenti sui cellulari - non necessariamente smartphone - messi in commercio soprattutto negli ultimi mesi. Raccolta l'informazione la trasmette a Google, che piazza un bel segnaposto su una mappa: a questo punto si può decidere se tenere questa informazione per sé, o se si preferisce condividerla con qualcuno. Si manda un invito ad un amico o una amica, si attende la conferma, e si inizia a chiacchierare.

Uno dei punti di forza di Latitude, infatti, è l'integrazione con GTalk: cliccando sul segnaposto di un amico si può avviare con lui una conversazione, oppure si può mandargli un SMS o un'email. O chiamarlo, visto che in teoria si sta usando un cellulare. Per tutto questo c'è bisogno di un cellulare moderno, come detto, e per il momento la versione 3.0 di Google Maps Mobile (quella che incorpora Latitude) è disponibile per Android, Symbian S60, Blackberry e Windows Mobile. In arrivo le versioni pure per iPhone, iPod Touch e terminali Java: se poi il cellulare non avesse a bordo il GPS, la localizzazione avverrà con le stesse modalità di My Location, sfruttando i segnali radio conosciuti da Google per individuare un'area generica.

Chi non avesse un cellulare, infine, o non avesse la possibilità o la voglia di usare l'applicazione in mobilità (che richiede di accedere ad Internet per funzionare, quindi ha un costo legato al traffico dati), può sempre scaricare il gadget da installare nella propria homepage personalizzata iGoogle. In questo modo è possibile effettuare praticamente le stesse operazioni, o quasi, della versione per telefonino, ivi compreso dare un'occhiata a dove si trovano i propri amici e scambiarci quattro chiacchiere.

Come detto, l'idea di Latitude può piacere o spaventare: in ogni caso, questa volta BigG ha voluto adottare un approccio molto conservativo per quanto attiene la privacy, visto che ogni funzione di questa nuova caratteristica è "opt-in". L'autorizzazione per mostrare ad un amico la propria posizione, ottenere la sua, generare automaticamente la propria localizzazione o settarla manualmente, è sempre richiesta: si possono variare le impostazioni generali per tutti (impedendo a chiunque di sapere che ci si trova al ristorante con l'amante), oppure modificare volta per volta cosa mostrare ad ogni singolo utente.



Tra l'altro, da Mountain View fanno sapere che sui loro server non rimane alcuna traccia degli spostamenti - se non per quanto attiene all'ultima posizione conosciuta, indispensabile per far funzionare il programma. Latitude, in ogni caso, è solo l'ennesimo investimento fatto da BigG nel settore delle mappe: solo un paio di giorni fa aveva rilasciato la nuova versione di Google Earth, segno che questo tipo di informazioni interessa non poco l'azienda di Mountain View. A quando le pubblicità personalizzate in base a dove ci si trova?

Università per tutti, on-line

Manca un mese all'università delle persone, scopriamo cosa sia:

Un'università internazionale, completamente online ed aperta a tutti con costi di iscrizione risibili. È questa la promessa della "University of the People", l'ambizioso progetto educativo lanciato dall'imprenditore israeliano Shai Reshef: che risponde, con ottimismo, alle (molte) critiche degli addetti ai lavori.

Reshef, un passato da designer di e-learning ed un presente nella board della community educativa Cramster, parte da un assunto molto semplice. "Il materiale per i corsi è già tutto là, reso disponibile dagli Atenei che hanno messo online gratuitamente i propri corsi - spiega al reporter del New York Times - E poi sappiamo che l'insegnamento peer-to-peer in linea funziona. Mettendo insieme questi elementi, si apre lo spazio per una università gratuita aperta agli studenti di tutto il mondo. Aperta a chiunque parli inglese ed abbia una connessione internet a disposizione".

La University of the People dovrebbe aprire i battenti nell'Aprile del 2009, con una fase beta che prevede un numero ridotto di studenti (300) e pochi corsi a catalogo. Ma d'altra parte Reshef si dice fiducioso di poter raggiungere in meno di cinque anni la soglia di 10000 iscritti dove, spiega, il business diventerebbe profittevole. L'investimento iniziale previsto è di 5 milioni di dollari.
Nelle "classi" virtuali del nuovo ateneo, ciascuna composta da non più di 20 studenti, verrebbero forniti i vari insegnamenti associati al corso di laurea. Per ogni insegnamento sono previsti un forum online- dove scaricare i materiali didattici, vedere le domande dei colleghi, discutere i temi non chiari e vivere momenti di interazione online con gli altri studenti.

La supervisione rispetto alle attività degli alunni, spiega ArsTechnica, dovrebbe essere garantita da team misti formati da volontari (non pagati) e docenti veri e propri. A questi ultimi il compito di monitorare l'andamento complessivo delle lezioni, il comportamento dei volontari, nonché risolvere eventuali dubbi lasciati irrisolti nei forum. "L'idea - spiega ancora Reshef - è quella di prendere il concetto di social networking ed applicarlo al mondo dell'università".

Altro punto forte della University of the People dovrebbe essere l'economicità. L'iscrizione al singolo corso dovrebbe infatti costare una cifra variabile tra i 15 ed i 50 dollari, mentre la partecipazione agli esami - unica voce di costo ulteriore per gli studenti - dovrebbe oscillare tra i 10 ed i 100 dollari. Le tariffe per i ragazzi dei paesi in via di sviluppo sarebbero di default quelle più basse, mentre prezzi più alti verrebbero praticati per tutti gli altri.

A dispetto dell'entusiasmo profuso da Reshef e dai suoi collaboratori, però, molti addetti ai lavori restano scettici rispetto all'iniziativa. "Negli ultimi dieci anni si è parlato spesso di avviare iniziative simili, ma i tempi non sembravano maturi - spiega il direttore dello Sloan Consortium, John Bourne - Dal punto di vista dei contenuti c'è molto (e molto di buono) in giro. Ma la vera incognita sono gli insegnanti. Mi piacerebbe capire quale sia la ricetta che consente di trovare, e formare, un insegnante di qualità senza imporre agli studenti adeguate tasse universitarie".

Ci sarebbe poi da badare alle problematiche tecnologiche collegate al progetto. I file audio-video delle lezioni, infatti, richiedono connessioni broadband che una larga parte del pubblico potenziale di Reshef non sembra possedere. Il rischio è che nei paesi in via di sviluppo gli studenti abbiano accesso soltanto ai materiali testuali, mancando una parte fondamentale dell'esperienza didattica. Ma Reshef risponde con ottimismo a tutte le critiche mosse contro il suo nuovo progetto. "Collaborando online, gli studenti formano delle reti sociali molto forti. E attraverso queste reti online, peraltro molto amate dai ragazzi, siamo in grado di portare gli insegnamenti superiori in ogni parte del mondo. (...) Fino ad oggi, non sono ancora riuscito a trovare una sola persone per la quale questa non sia una buona idea".

Negli ultimi anni, la formazione a distanza ha conosciuto una vera e propria esplosione. Una ricerca dello Sloan Consortium illustra come, nel 2007, almeno 3,5 milioni di studenti abbiano frequentato corsi online negli Stati Uniti, mentre progetti come OpenCourseWare del MIT vengono ripresi da paesi di ogni parte del mondo. In Italia lo scenario sembra evolvere con qualche lentezza in più, ma le grandi istituzioni si stanno comunque attrezzando.

Giovanni Arata

mercoledì 11 febbraio 2009

Poltrona a levitazione magnetica

Credevamo potesse essere solo una fantasia da fumetto, e invece è realtà! La poltrona a levitazione magnetica esiste e non costa neanche energia tenerla sospesa a mezz'aria, guardatevi questo filmato:



Il prezzo è un po' alto, Euro 5000, ma non serve la corrente. Non vanno avvicinate apparecchiature elettroniche ai magneti, per questo ci sono i porta oggetti laterali.

domenica 1 febbraio 2009

Cerca Gaia BottàLa licenza SIAE non basta. Condannato

In Italia il pizzo esiste sotto varie forme...

Vendeva musica online, riteneva di aver assolto ai propri doveri, è stato condannato in appello: aveva ottenuto la licenza dalla SIAE, si era garantito i diritti di utilizzo commerciale dai detentori dei diritti d'autore. Ma non aveva preso in considerazione i detentori dei diritti connessi.

La condanna in appello è stata emessa dal Tribunale di Torino: C.T., di Asti, gestiva uno store musicale online, offriva in vendita ai netizen oltre 12mila tracce da scaricare a pagamento. C.T. si era cautelato dalle rivendicazioni della SIAE, aveva chiesto e ottenuto la dibattuta licenza multimediale che, dal 1998, SIAE ha adottato per schiudersi alle potenzialità offerte dalla rete. C.T. aveva così ottenuto il diritto di "riprodurre le opere tutelate, tramite caricamento (uploading) dei file all'interno della sua banca dati" e di "mettere a disposizione del pubblico le stesse opere, che possono essere scaricate sulla memoria dei computer".

Il gestore dello store riteneva di aver assolto ai propri doveri. Poi, la denuncia dell'industria fonografica. La difesa di C.T. ha convinto il tribunale in primo grado di giudizio: il magistrato ha scagionato il gestore del sito, ha stabilito che in quella fattispecie C.T. avrebbe potuto vendere musica con la sola licenza multimediale ottenuta corrispondendo il dovuto alla SIAE e agli autori.
La normativa e la giurisprudenza in materia di diritto d'autore declinate sulle nuove tecnologie, considerate spesso fumose e contraddittorie, sono state però interpretate in maniera opposta dal Tribunale di Torino in secondo grado di giudizio. La licenza multimediale rilasciata dalla SIAE consente di retribuire gli autori dei brani musicali venduti da C.T., ma non consente di corrispondere il dovuto ai titolari dei diritti connessi, ai produttori fonografici che detengono i diritti sulla fissazione dell'opera. C.T. si sarebbe dovuto rivolgere a SCF, avrebbe dovuto richiedere la licenza con cui ricompensare l'industria fonografica. Lo sfruttamento dei diritti connessi attraverso le "nuove tecnologie" che, spiega SCF, "rappresentano modalità nuove ed affascinanti di fruizione della musica", non può avvenire senza ricompensare anche i detentori dei diritti connessi.

FIMI, in un comunicato, conferma: "La licenza ottenuta da SIAE poteva autorizzare solo l'acquisizione dei diritti d'autore e non dei diritti connessi delle case discografiche, senza i quali, l'attività posta in essere dal sito rimaneva penalmente sanzionabile". C.T. è stato condannato a 3 mesi di carcere, una pena poi sospesa, a rifondere FIMI per le spese legali, a pagare un'ammenda pari a 270 euro.

Le spiate di NSA su giornalisti e cittadini

Giovanni Arata

Le attività di intercettazione e spionaggio illegali condotte negli anni dell'Amministrazione Bush avrebbero riguardato anche redazioni di giornali, singoli giornalisti e privati cittadini statunitensi. Tutto ciò che costoro scrivevano via email o dicevano al telefono veniva registrato. A rivelarlo un ex analista della stessa National Security Agency(NSA), il corpo grosso dell'intelligence d'oltreoceano.

Russel Tice, questo il nome dell'ex funzionario al centro del caso, ha ricostruito la vicenda durante la trasmissione televisiva della MSNBC Countdown with Keith Olbermann. Nel corso delle proprie operazioni di monitoraggio anti-terroristiche, ha sostenuto Tice, NSA avrebbe allargato di molto il raggio del proprio controllo, arrivando a tracciare anche le comunicazioni di soggetti che non avevano alcun tipo di connessione con il mondo del terrore: comuni cittadini, reporter, talvolta intere redazioni.
Le attività di raccolta dati sarebbero state realizzate senza alcuna previa autorizzazione da parte delle autorità giudiziarie competenti e avrebbero riguardato ogni possibile forma di espressione da parte dei sorvegliati. Dalle mail alle telefonate, dai fax ai messaggi, tutto sarebbe stato registrato e stivato all'interno dei database.

Tice ha raccontato di aver scoperto del sistema spionistico in modo casuale, mentre era dipendente dell'agenzia. I suoi superiori gli avrebbero chiesto di operare delle indagini "preliminari" su una serie di soggetti (tra cui alcuni giornali), con lo scopo dichiarato di escludere tali soggetti dalle attività di monitoraggio vere e proprie.
Ma le attività "preliminari" sembravano durare un po' troppo. È lo stesso informatore a spiegare: "Con il tempo mi sono reso conto che la raccolta di dati su queste organizzazioni veniva praticata ventiquattr'ore su ventiquattro per sette giorni su sette, e per tutto l'anno. E questo non aveva senso. Così mi sono messo a indagare, scoprendo la rete".
Già nel 2005, dopo la pubblicazione di un'inchiesta del New York Times, l'Amministrazione Bush era stata investita da uno scandalo legato all'impiego di intercettazioni illegali. I media avevano documentato l'esistenza di diversi casi in cui le autorità di sicurezza statunitensi avevano aggirato le normative- che richiedono il rilascio di un'autorizzazione da parte dei giudici- per sorvegliare le comunicazioni dei cittadini.
In risposta alle polemiche, lo stesso Presidente Bush aveva spiegato che i casi di deroga erano limitati a quelli in cui fosse documentato un "chiaro legame" tra i sorvegliati e le organizzazioni terroristiche.

Adesso le affermazioni di Tice - peraltro già coinvolto come testimone nel 2005 - sembrano suggerire l'esistenza di infrazioni ancora più gravi alle leggi sulla sorveglianza. Infrazioni tanto più impressionanti perché perpetrate in modo sistematico e quasi routinario.

E proprio qui sta, secondo diversi osservatori, il punto dirimente. Le normative vigenti offrono già agli investigatori strumenti molteplici ed efficaci per individuare e controllare i potenziali terroristi. Il problema, nella storia raccontata da Tice, è che l'amministrazione statunitense sarebbe andata ben al di là di tali paletti, spiando persone che nulla avevano a che fare con le attività criminali, e aggirando le procedure previste per legge in questo tipo di situazioni. Quale sarà la posizione della nuova amministrazione di fronte a problemi fondamentali come quelli sollevati dal caso Tice? La speranza di molti, alimentata anche dalle prese di posizione programmatiche del neopresidente, è che Obama possa imprimere un deciso cambio di direzione nel campo della tutela dei diritti individuali e della libertà di informazione. Promuovendo la trasparenza dell'amministrazione e rilanciando i principi del Freedom of Information Act.

lunedì 19 gennaio 2009

DNA per una foto

Reuben Powell si aggirava per le vie di Londra impugnando la sua macchina fotografica, catturando scatti nei pressi di un vecchio ufficio pubblico. È stato arrestato sulla base delle leggi antiterrorismo, ha dovuto favorire impronte digitali e campione di DNA.

"La macchina ha inchiodato come fosse quella di Starsky e Hutch - ricorda Powell - e l'agente è saltato giù in maniera teatrale e mi ha detto che stai facendo?". Al fotografo è stato spiegato che sarebbe stato controllato sulla base del Prevention of Terrorism Act: in tasca gli è stato trovato un temperino, è stato arrestato e incarcerato, gli sono state prelevate le impronte digitali, il suo DNA convergerà nello sconfinato database che raccoglie le identità biometriche dei cittadini che per qualche motivo sono stati considerati sospetti.

Il fotografo ha trascorso 5 ore in una cella e, a seguito dell'intervento del parlamentare Simon Hughes, è stato rilasciato. Ma il suo DNA rimarrà negli archivi delle forze dell'ordine, nonostante il Regno Unito abbia ricevuto un richiamo da parte della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo, nonostante la Corte abbia ricordato al Regno Unito che la conservazione dei dati relativi a persone innocenti rappresenti una violazione della privacy e rischi di marchiare l'individuo con uno stigma indelebile.
Powell non è l'unico fotografo schedato, vittima delle leggi antiterrorismo. Sono oltre 4 milioni i campioni di DNA collezionati dalle forze dell'ordine dell'Isola.

La privacy si pagherà?

Armani si venderebbe un rene

La vicenda è notissima sulla rete italiana e si trascina da lungo tempo, ma ora Luca Armani ha deciso di premere sull'acceleratore con un nuova provocazione pensata per sollevare nuova attenzione sul caso.

Sul suo sito, armani2.it, Luca Armani ha ora scritto: "vendo un rene per poter denunciare Giorgio Armani".

Al di là della provocazione, come saprà chi ricorda la questione, focalizzata sulla querelle per la gestione del dominio armani.it, sul suo attuale sito Luca Armani propone anche di firmare una petizione ospitata su "www.armani.si" nella quale chiede in buona sostanza che gli venga restituito il dominio armani.it, ora in uso di Giorgio Armani, il celebre stilista.
Scrive ancora Luca Armani: "Vorrei precisare con la presente che non sono alla ricerca di clamore, di compassione o comprensione, bensì mi sto battendo dal secolo scorso perché credo di essere dalla parte della ragione, perché credo di essere stato ingiustamente accusato di un reato che non ho mai commesso, perché sono convinto che anche il potersi difendere deve essere quantomeno un diritto di tutti indipendentemente dal nome che rappresenta o dal fatturato che uno genera".

Seul, in carcere l'aruspice della finanza

Di Gaia Bottà

Quando le forze dell'ordine hanno fatto irruzione nel suo appartamento lo hanno sorpreso mentre ordinava online un saggio in materia di finanza. Aveva creato intorno a sé un alone di autorevolezza dispensando vaticini riguardo alle sorti dell'economia sudcoreana, si era nascosto per mesi dietro allo pseudonimo di Minerva. La polizia lo ha arrestato, accusandolo di aver diffuso online informazioni false che hanno agito sul quadro economico del paese.

Minerva si era espresso centinaia di volte sulle pagine dedicate ai dibattiti del popolare portale Daum, i suoi post raccoglievano centinaia di migliaia di visite: aveva previsto le sorti di Lehman Brothers, aveva anticipato il crollo del valore della valuta sudcoreana, aveva tracciato con sufficiente precisione lo scenario che si sarebbe configurato per il suo paese nel momento in cui fosse stato investito dall'impatto della recessione. Non tutti i vaticini di Minerva si sono trasformati in realtà, non tutte le qualifiche che vantava erano realmente in suo possesso. La stampa locale riprendeva pedissequamente le sue predizioni, assecondava timori e alimentava paure. Il mondo della finanza incassava e prestava ascolto all'oracolo. Ed è scivolato in una spirale creata ad arte da un cittadino della rete che non esitava a diffondere notizie che le autorità hanno definito infondate.

Il governo di Seul ha reagito alla congiuntura economica e ha previsto un piano per rialzarsi. Ha inoltre ordinato l'arresto di Minerva, responsabile, a parere del giudice che ha disposto il provvedimento, di "aver influito sul mercato monetario globale e sulla credibilità nazionale" con due post. Avrebbe distorto la realtà e turbato l'andamento dell'economia, avrebbe deliberatamente seminato il panico diffondendo informazioni false, fra cui la notizia di una raccomandazione che il governo avrebbe inviato alle banche per ammonirle a non comprare dollari per consolidare la valuta locale.
Le forze dell'ordine hanno identificato Minerva in Park Dae-sung, 31enne che non ha conseguito alcun titolo di studio negli Stati Uniti né ha mai lavorato per Wall Street. Hanno fatto irruzione nel suo appartamento, lo hanno tratto in arresto. Minerva non si è dichiarato colpevole, né si dimostra disposto a patteggiare: nella maggior parte dei casi si limitava a racimolare informazioni online e ad analizzare la situazione in articoli aggressivi. "Scrivevo articoli per aiutare le persone esasperate dal governo - si è spiegato Park - piccoli commercianti, persone ordinarie su cui si è abbattuta la crisi economica". Qualora venga giudicato colpevole rischia di scontare 5 anni di carcere e una multa che può raggiungere i 50 milioni di won, poco meno di 30mila euro.

Se ci sono membri del governo pronti a giurare che Park non abbia mai mentito, non mancano coloro che si schierano a favore dell'arresto di Park, mentre i dibattiti riguardo all'anonimato online affollano la rete coreana. Sono numerosi i netizen, coreani e non, che denunciano come la Corea del Sud, uno dei paesi più connessi del mondo, abbia iniziato a disporre sequestri e a condannare netizen. Una regolamentazione della rete che ingabbia il diritto ad esprimersi e che riduce al silenzio il dissenso.

Cinque sorelle

Jawaher 4 anni, Dina 8, Samar 12, Ikram 14, Tahrir 17 anni. Cinque sorelle palestinesi della famiglia Balousha. Vivevano a Jabaliya, vicino a Gaza City. Un campo profughi della striscia di Gaza. Una bomba le ha uccise. Un F16 israeliano è volato sulle case di Jabaliya e sulla moschea Imad Aqel, le ha sfiorate nella notte, il suo respiro le ha distrutte. Israele vuole combattere Hamas, ma uccide i bambini.
Si può dire, gridare che chi uccide i bambini, in modo deliberato, ovunque nel mondo, è un assassino? E che va giudicato per crimini contro l'umanità da un tribunale internazionale? Non ci sono giustificazioni. Lo scrittore Abraham Yehoshua, una voce tra le più importanti di Israele, ha detto: "Non avevamo scelta". Ma tra la vita di una bambina e qualunque altra cosa ci deve essere scelta. La bambina è sacra, il resto non conta.
Israele vuole creare un cordone di sicurezza intorno a sè con i bombardamenti, dal Libano a Gaza. Ma non saranno le bombe a portare la sicurezza. Per ogni civile ucciso, ci saranno cento terroristi in più. Per ogni bambino libanese, palestinese, arabo ucciso, mille terroristi in più. Israele si mette sullo stesso piano dei suoi nemici quando massacra i civili e, per questa ragione, potrebbe non avere domani più amici in Occidente. A Israele si chiede di essere non solo più forte di chi la vuole distruggere, ma anche migliore.

Gran Bretagna: lo stato inietta virus spia da anni nei pc dei sudditi

Monitoraggi a distanza agevolati da malware di stato, carotaggi nella vita online dei cittadini, sorveglianza che le forze dell'ordine possono mettere in campo senza l'autorizzazione preventiva di un magistrato. Il Regno Unito è pioniere nelle tendenze che si stanno propoagando in Europa: le perquisizioni a distanza veicolate da trojan di stato e condotte con disinvoltura sono per certi versi legali già da anni.

A rivelare il regime di sorveglianza pervasiva che attanaglia il Regno Unito è il Times: l'Home Office, sulla scia del pronunciamento del Consiglio dei Ministri europeo, starebbe insinuando nel quadro normativo la possibilità per le forze dell'ordine di scandagliare i computer dei cittadini e di monitorare le loro attività senza bisogno di alcun mandato. Così come proposto in Germania, si tratterebbe di perquisizioni a distanza: basterebbero malware veicolato da una email o strumenti per penetrare nella rete WiFi del sospetto, basterebbe un "ragionevole sospetto" nei confronti del cittadino che potrebbe commettere un crimine punibile con almeno tre anni di carcere, basterebbe dichiarare che penetrare nel computer dell'individuo sia una misura proporzionata al crimine che si ritiene covi nella sua mente.

Email e tracciati delle navigazioni online, messaggi scambiati con altri netizen e contenuti archiviati sull'hard disk: il Times configura un futuro di perquisizioni a distanza sempre più frequenti, di scambi di dati fra gli stati membri dell'Unione Europea. L'utilizzo di strumenti informatici per penetrare nelle macchine dei cittadini, spiega l'autorevole quotidiano, sarebbe possibile per le forze dell'ordine britanniche fin dal 1994 e sarebbe già stato esercitato; aderendo alla proposta europea, il Regno Unito potrebbe impugnare questi poteri con sempre maggiore frequenza.
La mobilitazione delle associazioni che si battono per il rispetto dei diritti dei cittadini è stata immediata: Liberty ha paragonato le perquisizioni remote all'irruzione delle forze dell'ordine nell'abitazione di un cittadino e del sequestro del suo computer e ha invocato un dibattito parlamentare che sappia ristabilire i diritti fondamentali dell'individuo.

L'intervento dell'Home Office è stato invece tanto tempestivo quanto fumoso: sui media britannici si affollano le dichiarazioni dei portavoce del governo, che si affrettano a ribadire che nulla è cambiato, che l'accordo siglato con l'Unione Europea non è vincolante né prevede una tabella di marcia che determini l'implementazione delle strategie di intercettazione, che le perquisizioni a distanza restano regolate dalle leggi che da anni delimitano i poteri investigativi delle forze di polizia. Ma questa reazione non sembra riuscire a rassicurare cittadini la cui vita mediata dalla tecnologia rischia di convergere in archivi sconfinati nelle mani di stato e mercato.

TIME: person of the year

Benchè sia un falso...

Islanda fallita, lettera da un italiano lì

Dal Blog di Beppe Grillo

"Caro Beppe,
sono uno studente universitario di Genova che sta facendo l'Erasmus in Islanda, dove ho conosciuto molte persone che vivono e lavorano qui e vedere con i miei occhi come la speculazione finanziaria ha distrutto un Paese che fino allo scorso anno l' ONU definiva il primo al mondo per benessere. I miliardi di dollari che gli speculatori hanno riversato su questo Paese per anni ad un certo punto si sono interrotti e nel giro di poche settimane le principali banche del Paese sono fallite, la moneta è crollata e l' inflazione e la disoccupazione, prima quasi inesistenti, hanno raggiunto percentuali a due cifre. Parlando con le persone del posto ho scoperto con stupore che questo Paese scandinavo è afflitto dai nostri stessi problemi, una classe dirigente collusa con le banche che invece di tutelare i cittadini cerca di coprire le azioni di chi dilapida i loro risparmi e che non vuole saperne di abbandonare il potere, nemmeno ora che le i cittadini per la prima volta nella storia del Paese scendono in piazza ogni giorno per chiedere le dimissioni del governo che ha portato il Paese in queste condizioni. Ma la notizia che mi ha spinto a scrivere questa lettera è quella apparsa oggi su un piccolo giornale locale dove si parla di un giornalista che ha dovuto licenziarsi perchè dopo aver seguito un inchiesta sulle persone che hanno causato la crisi finanziaria il suo editore ha deciso di pubblicare il suo articolo modificato altrimenti il giornale sarebbe stato fatto chiudere dalle persone che il giornalista denunciava. Nemmeno le notizie dei suicidi che stanno diventando sempre più numerosi possono essere pubblicate
Questa esperienza mi ha fatto capire che nonostante viviamo in Paesi diversi con tradizioni e strutture politiche diverse i problemi che affliggono la nostra società sono gli stessi in tutta Europa, il blog ha già rilevanza internazionale, perchè non dedicare spazio anche agli altri Paesi europei? Sono sicuro che le persone e le notizie non mancherebbero e questo contribuirebbe a farlo crescere ancora insieme a chi che non si arrende a questo sistema che ci chiede di non credere più nella giustizia e di diventare come loro, arricchendoci sfruttando e ingannando le persone. Se ho deciso di non essere come loro e di costruire la mia vita combattendo le ingiustizie e aiutando chi difende la verità è anche grazie a tutto quello che ci hai dimostrato in questi anni, prima dalla televisione (ero piccolo, ma mi ricordo quando avevi deciso di andartene a parlare nei teatri pur di non sottometterti a loro) e ora con il blog e le manifestazioni, continua cosi!".

Class Action all'italiana

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Roma - La Class Action all'italiana è nata deforme, non potendo essere attivata dal singolo cittadino ma solo da gruppi di interesse, però anche in quella forma non è ancora operativa, e il Governo ha deciso nei giorni scorsi di rinviarne ulteriormente l'introduzione alla prossima estate. Un rinvio che non sembra piacere a consumatori ed utenti Internet.

Tra i più interessati a questo strumento, per i molti disservizi e problemi che segnalano da anni su tutti i fronti delle TLC, i netizen italiani si stanno organizzando per sostenere la Class Action, già nelle corde di diverse associazioni di consumatori che ne stavano preparando alcune contro imprese di primo piano.

"TLC e Internet più in generale - racconta a Punto Informatico Marco Pierani, promotore della protesta ed esponente di Altroconsumo - sono terreno molto fertile per ipotesi applicative di class action, in quanto in questi settori purtroppo si diffondono comportamenti illeciti da parte di aziende che ledono in maniera seriale un numero elevato di persone per importi poco elevati, dal che il gioco non vale la candela per quanto riguarda le cause individuali, ecco che lo strumento della class action potrebbe conoscere subito e in maniera ottimale applicazioni utili in questo ambito, mi vengono in mente alcune aste al ribasso per fare un esempio veloce".
La mobilitazione sta prendendo forma in questo momento in un gruppo aperto su Facebook: Class action: ulteriore rinvio, beffa per i cittadini - indigniamoci.

Fuori produzione

Di Alessandro Bottoni

Mia moglie fa gli anni il 30 Dicembre. Per non fare la solita, magra figura di "aggregare" il suo regalo con quello di Natale, avevo pensato di regalarle qualcosa di specifico, anche se di poco impegnativo. Silvana è una "fan" di un vecchio (o "antico"?) gruppo chiamato "Animal Nightlife" (Quelli di "Love is just the great pretender", 1982) così ho pensato di regalarle un CD di questo gruppo.
Sorpresa! I CD degli Animal Nightlife sono tutti "out-of-print". La richiesta è troppo bassa. Non coprirebbe i costi di stampa e distribuzione dei CD e quindi il detentore dei diritti (che NON è l'autore) ha deciso di abbandonare questo prodotto. Per ragioni a me francamente incomprensibili, questi brani non sono disponibili nemmeno sotto forma di file (che, ovviamente, hanno un costo di stampa e distribuzione pari a zero).

Il copyright su questi brani è però ancora valido, e lo sarà ancora per decenni. Di conseguenza, non è legale scaricare questi brani da una rete P2P e farsi un CD autocostruito. Si tratterebbe di pirateria. Meno che mai si potrebbe stampare e pubblicare un CD "alternativo" per colmare questa lacuna. Bisognerebbe raggiungere un accordo con l'editore e, come potete immaginare, l'editore quasi certamente non è disponibile a discutere di queste cose con privati cittadini e nano-editori musicali. Bisognerebbe essere almeno un editore musicale di livello nazionale per iniziare una trattativa del genere (e mettere sul piatto almeno qualche decina di migliaia di euro).

Fatto ancora più curioso, nemmeno gli autori stessi (i membri del gruppo) possono stampare e distribuire questi CD e questi brani. Hanno già ceduto i diritti all'editore e non possono mettersi in competizione con esso, nemmeno se l'editore decide di non sfruttare commercialmente questi diritti. Devono subire questa censura in silenzio.
Tentare di spiegare l'assurdità di questa situazione a persone dure d'orecchi, come i vertici di SIAE, FIMI, MPAA, RIAA e via dicendo, sarebbe molto difficile. Bisognerebbe riuscire a far digerire loro il concetto che qualunque "contenuto multimediale" (musica, film, registrazioni audio e video, spartiti, testi di narrativa e di saggistica etc.) è anche un "contenuto culturale" ed un "atto di espressione personale" dell'autore, oltre che un "prodotto commerciale". Come tale, nessuno, nemmeno il distributore e l'editore, ha il diritto di impedirne la distribuzione. Quello che si ottiene in questo caso, infatti, è una pericolosissima ed odiosa forma di censura. Certo è una forma di censura motivata da ragioni commerciali, più o meno plausibili, invece che dalle tradizionali motivazioni politiche, ma sempre di censura si tratta.

Allora, per tentare di far capire questo concetto (difficile da comprendere solo per chi non vuole comprenderlo), ho pensato di scrivere un nuovo raccontino. Come spesso avviene, per far passare un concetto è necessario tirare in ballo qualcosa che per il nostro interlocutore sia importante quanto lo è per noi il tema reale della discussione. Mi perdonerete quindi l'esagerazione ed il paradosso. Sono per una buona causa.
Ovviamente, questo "prodotto commerciale" è distribuito con una licenza molto permissiva che vi consente di ri-pubblicarlo dove vi pare, alle sole condizioni che lo pubblichiate in forma integrale e che ne citiate la fonte. Non ho usato la solita Creative Commons perché voglio cogliere questa occasione per farvi conoscere le licenze CopyZero di Nicola A. Grossi e del Movimento CostoZero. La licenza è in coda all'articolo.

Vi prego di notare che non sono il solito parassita che scarica a scrocco brani dalla rete e non capisce nulla o quasi di copyright. Sono un autore (anche se modestissimo) che vive (in parte) di questa attività (ed in parte vive di copyright sul software che produce) e che conosce bene la questione. Si tratta quindi di una critica che proviene dall'interno del sistema.

domenica 18 gennaio 2009

Dal 1970 infermieri e medici falsi negli ospedali Romani

di Francesco Viviano

Negli ospedali e nelle Asl romane ci sono decine e decine di infermieri che da anni "assistono" ammalati e lavorano anche nelle sale operatorie. Sono sparsi alla Cattolica, al Fatebenefratelli, all´Accademia Teatina delle Scienze, al Sacro Cuore, all´Asl di Frascati. Ufficialmente sono tutti infermieri, tutti professionali, ma con diplomi tutti falsi prodotti in una "fabbrica" di Cosenza e distribuiti in tutta Italia, soprattutto nel sud Italia e a Roma. Il prezzo del falso diploma variava dagli 8 ai 10 mila euro.
La truffa e i falsi infermieri sono stati scoperti dai Nas, al comando del colonnello Ernesto Di Gregorio che con i suoi uomini ha "radiografato" - è il caso di dirlo - migliaia e migliaia di diplomi per infermieri falsi a partire dal 1975 fino all´altro ieri. E così settantaquattro persone sono state arrestate, un altro centinaio sono indagate e altri ancora potrebbero presto finire nei guai. I protagonisti di questa vicenda, sono un vero infermiere (almeno così pare) che lavora a Cosenza, Damiano Taraso e altri componenti della sua famiglia e della sua parentela (tutti infermieri naturalmente qualcuno anche capo sala) e il direttore della segreteria didattica della Cattolica, Antonio Pongetti, specializzato nel rilasciare test di ammissione per l´ingresso alla facoltà di Scienze infermieristiche dell´Università. Entrambi sono finiti in carcere. Pongetti non si limitava soltanto a farsi pagare i test di ammissione ma, spesso, chiedeva anche prestazioni sessuali. Una studentessa però lo ha letteralmente mandato a quel paese, quando Pongetti, insistendo in maniera ossessiva, riceve dalla ragazza un sms: «Non ti voglio vedere più, se sarò capace tenterò di passare i test con le mie sole forze e tu vaffa...».
La ragazza e altri aspiranti infermieri spesso venivano accompagnati da Damiano Taraso all´interno degli ospedali e delle università romane e li presentava anche a presunti professori o medici che avrebbero agevolato il loro ingresso nel mondo del lavoro e le loro future carriere.
I carabinieri del Nas hanno scoperto la compravendita dei diplomi di falsi infermieri in seguito a una denuncia presentata nel 2007 dal collegio degli infermieri di Cosenza che aveva fatto delle indagini dopo che un medico di "Villa Torano" si era accorto che tra i suoi collaboratori c´erano degli infermieri "professionali" ma del tutto impreparati. Per centinaia di falsi infermieri, soprattutto quelli entrati negli anni ?70, i reati sono già prescritti. Ma le amministrazioni sanitarie possono ancora prendere provvedimenti.
L´inchiesta dei carabinieri è tutt´altro che conclusa, si sta ancora indagando per verificare casi di favoreggiamento da parte di medici o capi sala che, pur al corrente di quanto accadeva, non avrebbero preso provvedimenti. Ma adesso sono in molti a rischiare: il gip di Cosenza ha infatti disposto sequestri preventivi dei patrimoni dei falsi infermieri che, se processati e condannati, dovranno rimborsare migliaia di euro per gli stipendi incassati in tutti questi anni.

Truffe con i dialer: multe ridicole

I dialer sono programmi che cambiano i numeri telefonici per connettersi ad internet con connessione a 56Kb (non funzionano su connessioni ADSL). I dialer erano programmi che dirottavano le chiamate su numeri a tariffazione elevata. E le società sono risultate colpevoli di aver agevolato le truffe con questi sistemi (bollette telefoniche gonfiate) ecco le multe:

  • Telecom Italia: 325.000 € (trecentoventicinquemila euro);
  • Elsacom S.p.A.: 270.000 € (duecentosettantamila euro);
  • CSINFO S.p.A.: 255.000 € (duecentocinquantacinquemila euro);
  • Eutelia S.p.A.: 215.000 € (duecentoquindicimila euro);
  • Karupa S.p.A.: 255.000 € (duecentocinquantacinquemila euro);
  • Voiceplus S.r.l.: 255.000 € (duecentocinquantacinquemila euro);
  • Teleunit S.p.A.: 180.000 € (centottantamila euro);
  • Drin TV S.r.l.: 115.000 € (centoquindicimila euro).
  • AbcTrade S.r.l.: 115.000 € (centoquindicimila euro).
  • Telegest Italia S.r.l.: 115.000 € (centoquindicimila euro).
  • OT&T S.r.l.: 115.000 € (centoquindicimila euro).
  • Aurora Uno Sro: 115.000 € (centoquindicimila euro).
  • Ivory Network Limited: 100.000 € (centomila euro).

Queste multe sono ridicole, troppo basse, per queste società e sono un chiaro esempio di come non funzioni la giustizia in Italia.

venerdì 16 gennaio 2009

venerdì 9 gennaio 2009

Tolleranza Zoro

Ecco un blog interessante: ogni articolo è un video di Diego Bianchi. Diego Bianchi ha cominciato da neofita mettendo i propri video su youtube e poi è stato notato e lavora per il canale televisivo LA 7.

http://zoro.blog.excite.it/

Come ci prendono in giro in Francia