venerdì 17 aprile 2009

Fumare fa male, in America la Philip Morris è costretta a pagare

La Philip Morris deve rassegnarsi: dovrà pagare la vedova di un fumatore che ha fatto causa. Lo ha stabilito la La Corte Suprema degli Stati Uniti, mettendo così fine a un braccio di ferro durato dieci anni tra la Philip Morris, appunto, e la donna, che accusava il colosso delle sigarette di non fornire informazioni sufficienti sui rischi da fumo. I giudici di Washington hanno respinto l'appello della multinazionale confermando una sentenza che condanna a pagare danni per 79,5 milioni di dollari (saliti a 145 con gli interessi).
La decisione della Corte è l'epilogo della vicenda che ha visto protagonista Mayola Williams, vedova di Jesse Williams, un custode di Portland (Oregon) che aveva cominciato a fumare negli anni '50, durante il militare, ed è morto nel 1997 per un tumore al polmone. La donna poco tempo dopo avviò l'azione legale contro Philip Morris, sostenendo che la società andava ritenuta responsabile per aver lasciato credere ai fumatori che i propri prodotti non creano dipendenza.
Lo stato dell'Oregon si è affiancato in questi anni alla vedova e riceverà il 60% del risarcimento - se la vicenda non avrà altri sviluppi giudiziari - destinandolo a un fondo per le vittime di crimini violenti. Un giudice aveva ritenuto Philip Morris colpevole e la Corte suprema dell'Oregon nel 2002 aveva respinto la richiesta di appello. La stessa decisione è arrivata adesso dai giudici di Washington, nei quali l'industria del tabacco confidava per una sentenza che mettesse un freno ai maxi-risarcimenti. Ma la Corte Suprema si è limitata a non accogliere la richiesta d'appello, senza motivazioni.

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