lunedì 19 gennaio 2009

DNA per una foto

Reuben Powell si aggirava per le vie di Londra impugnando la sua macchina fotografica, catturando scatti nei pressi di un vecchio ufficio pubblico. È stato arrestato sulla base delle leggi antiterrorismo, ha dovuto favorire impronte digitali e campione di DNA.

"La macchina ha inchiodato come fosse quella di Starsky e Hutch - ricorda Powell - e l'agente è saltato giù in maniera teatrale e mi ha detto che stai facendo?". Al fotografo è stato spiegato che sarebbe stato controllato sulla base del Prevention of Terrorism Act: in tasca gli è stato trovato un temperino, è stato arrestato e incarcerato, gli sono state prelevate le impronte digitali, il suo DNA convergerà nello sconfinato database che raccoglie le identità biometriche dei cittadini che per qualche motivo sono stati considerati sospetti.

Il fotografo ha trascorso 5 ore in una cella e, a seguito dell'intervento del parlamentare Simon Hughes, è stato rilasciato. Ma il suo DNA rimarrà negli archivi delle forze dell'ordine, nonostante il Regno Unito abbia ricevuto un richiamo da parte della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo, nonostante la Corte abbia ricordato al Regno Unito che la conservazione dei dati relativi a persone innocenti rappresenti una violazione della privacy e rischi di marchiare l'individuo con uno stigma indelebile.
Powell non è l'unico fotografo schedato, vittima delle leggi antiterrorismo. Sono oltre 4 milioni i campioni di DNA collezionati dalle forze dell'ordine dell'Isola.

La privacy si pagherà?

Armani si venderebbe un rene

La vicenda è notissima sulla rete italiana e si trascina da lungo tempo, ma ora Luca Armani ha deciso di premere sull'acceleratore con un nuova provocazione pensata per sollevare nuova attenzione sul caso.

Sul suo sito, armani2.it, Luca Armani ha ora scritto: "vendo un rene per poter denunciare Giorgio Armani".

Al di là della provocazione, come saprà chi ricorda la questione, focalizzata sulla querelle per la gestione del dominio armani.it, sul suo attuale sito Luca Armani propone anche di firmare una petizione ospitata su "www.armani.si" nella quale chiede in buona sostanza che gli venga restituito il dominio armani.it, ora in uso di Giorgio Armani, il celebre stilista.
Scrive ancora Luca Armani: "Vorrei precisare con la presente che non sono alla ricerca di clamore, di compassione o comprensione, bensì mi sto battendo dal secolo scorso perché credo di essere dalla parte della ragione, perché credo di essere stato ingiustamente accusato di un reato che non ho mai commesso, perché sono convinto che anche il potersi difendere deve essere quantomeno un diritto di tutti indipendentemente dal nome che rappresenta o dal fatturato che uno genera".

Seul, in carcere l'aruspice della finanza

Di Gaia Bottà

Quando le forze dell'ordine hanno fatto irruzione nel suo appartamento lo hanno sorpreso mentre ordinava online un saggio in materia di finanza. Aveva creato intorno a sé un alone di autorevolezza dispensando vaticini riguardo alle sorti dell'economia sudcoreana, si era nascosto per mesi dietro allo pseudonimo di Minerva. La polizia lo ha arrestato, accusandolo di aver diffuso online informazioni false che hanno agito sul quadro economico del paese.

Minerva si era espresso centinaia di volte sulle pagine dedicate ai dibattiti del popolare portale Daum, i suoi post raccoglievano centinaia di migliaia di visite: aveva previsto le sorti di Lehman Brothers, aveva anticipato il crollo del valore della valuta sudcoreana, aveva tracciato con sufficiente precisione lo scenario che si sarebbe configurato per il suo paese nel momento in cui fosse stato investito dall'impatto della recessione. Non tutti i vaticini di Minerva si sono trasformati in realtà, non tutte le qualifiche che vantava erano realmente in suo possesso. La stampa locale riprendeva pedissequamente le sue predizioni, assecondava timori e alimentava paure. Il mondo della finanza incassava e prestava ascolto all'oracolo. Ed è scivolato in una spirale creata ad arte da un cittadino della rete che non esitava a diffondere notizie che le autorità hanno definito infondate.

Il governo di Seul ha reagito alla congiuntura economica e ha previsto un piano per rialzarsi. Ha inoltre ordinato l'arresto di Minerva, responsabile, a parere del giudice che ha disposto il provvedimento, di "aver influito sul mercato monetario globale e sulla credibilità nazionale" con due post. Avrebbe distorto la realtà e turbato l'andamento dell'economia, avrebbe deliberatamente seminato il panico diffondendo informazioni false, fra cui la notizia di una raccomandazione che il governo avrebbe inviato alle banche per ammonirle a non comprare dollari per consolidare la valuta locale.
Le forze dell'ordine hanno identificato Minerva in Park Dae-sung, 31enne che non ha conseguito alcun titolo di studio negli Stati Uniti né ha mai lavorato per Wall Street. Hanno fatto irruzione nel suo appartamento, lo hanno tratto in arresto. Minerva non si è dichiarato colpevole, né si dimostra disposto a patteggiare: nella maggior parte dei casi si limitava a racimolare informazioni online e ad analizzare la situazione in articoli aggressivi. "Scrivevo articoli per aiutare le persone esasperate dal governo - si è spiegato Park - piccoli commercianti, persone ordinarie su cui si è abbattuta la crisi economica". Qualora venga giudicato colpevole rischia di scontare 5 anni di carcere e una multa che può raggiungere i 50 milioni di won, poco meno di 30mila euro.

Se ci sono membri del governo pronti a giurare che Park non abbia mai mentito, non mancano coloro che si schierano a favore dell'arresto di Park, mentre i dibattiti riguardo all'anonimato online affollano la rete coreana. Sono numerosi i netizen, coreani e non, che denunciano come la Corea del Sud, uno dei paesi più connessi del mondo, abbia iniziato a disporre sequestri e a condannare netizen. Una regolamentazione della rete che ingabbia il diritto ad esprimersi e che riduce al silenzio il dissenso.

Cinque sorelle

Jawaher 4 anni, Dina 8, Samar 12, Ikram 14, Tahrir 17 anni. Cinque sorelle palestinesi della famiglia Balousha. Vivevano a Jabaliya, vicino a Gaza City. Un campo profughi della striscia di Gaza. Una bomba le ha uccise. Un F16 israeliano è volato sulle case di Jabaliya e sulla moschea Imad Aqel, le ha sfiorate nella notte, il suo respiro le ha distrutte. Israele vuole combattere Hamas, ma uccide i bambini.
Si può dire, gridare che chi uccide i bambini, in modo deliberato, ovunque nel mondo, è un assassino? E che va giudicato per crimini contro l'umanità da un tribunale internazionale? Non ci sono giustificazioni. Lo scrittore Abraham Yehoshua, una voce tra le più importanti di Israele, ha detto: "Non avevamo scelta". Ma tra la vita di una bambina e qualunque altra cosa ci deve essere scelta. La bambina è sacra, il resto non conta.
Israele vuole creare un cordone di sicurezza intorno a sè con i bombardamenti, dal Libano a Gaza. Ma non saranno le bombe a portare la sicurezza. Per ogni civile ucciso, ci saranno cento terroristi in più. Per ogni bambino libanese, palestinese, arabo ucciso, mille terroristi in più. Israele si mette sullo stesso piano dei suoi nemici quando massacra i civili e, per questa ragione, potrebbe non avere domani più amici in Occidente. A Israele si chiede di essere non solo più forte di chi la vuole distruggere, ma anche migliore.

Gran Bretagna: lo stato inietta virus spia da anni nei pc dei sudditi

Monitoraggi a distanza agevolati da malware di stato, carotaggi nella vita online dei cittadini, sorveglianza che le forze dell'ordine possono mettere in campo senza l'autorizzazione preventiva di un magistrato. Il Regno Unito è pioniere nelle tendenze che si stanno propoagando in Europa: le perquisizioni a distanza veicolate da trojan di stato e condotte con disinvoltura sono per certi versi legali già da anni.

A rivelare il regime di sorveglianza pervasiva che attanaglia il Regno Unito è il Times: l'Home Office, sulla scia del pronunciamento del Consiglio dei Ministri europeo, starebbe insinuando nel quadro normativo la possibilità per le forze dell'ordine di scandagliare i computer dei cittadini e di monitorare le loro attività senza bisogno di alcun mandato. Così come proposto in Germania, si tratterebbe di perquisizioni a distanza: basterebbero malware veicolato da una email o strumenti per penetrare nella rete WiFi del sospetto, basterebbe un "ragionevole sospetto" nei confronti del cittadino che potrebbe commettere un crimine punibile con almeno tre anni di carcere, basterebbe dichiarare che penetrare nel computer dell'individuo sia una misura proporzionata al crimine che si ritiene covi nella sua mente.

Email e tracciati delle navigazioni online, messaggi scambiati con altri netizen e contenuti archiviati sull'hard disk: il Times configura un futuro di perquisizioni a distanza sempre più frequenti, di scambi di dati fra gli stati membri dell'Unione Europea. L'utilizzo di strumenti informatici per penetrare nelle macchine dei cittadini, spiega l'autorevole quotidiano, sarebbe possibile per le forze dell'ordine britanniche fin dal 1994 e sarebbe già stato esercitato; aderendo alla proposta europea, il Regno Unito potrebbe impugnare questi poteri con sempre maggiore frequenza.
La mobilitazione delle associazioni che si battono per il rispetto dei diritti dei cittadini è stata immediata: Liberty ha paragonato le perquisizioni remote all'irruzione delle forze dell'ordine nell'abitazione di un cittadino e del sequestro del suo computer e ha invocato un dibattito parlamentare che sappia ristabilire i diritti fondamentali dell'individuo.

L'intervento dell'Home Office è stato invece tanto tempestivo quanto fumoso: sui media britannici si affollano le dichiarazioni dei portavoce del governo, che si affrettano a ribadire che nulla è cambiato, che l'accordo siglato con l'Unione Europea non è vincolante né prevede una tabella di marcia che determini l'implementazione delle strategie di intercettazione, che le perquisizioni a distanza restano regolate dalle leggi che da anni delimitano i poteri investigativi delle forze di polizia. Ma questa reazione non sembra riuscire a rassicurare cittadini la cui vita mediata dalla tecnologia rischia di convergere in archivi sconfinati nelle mani di stato e mercato.

TIME: person of the year

Benchè sia un falso...

Islanda fallita, lettera da un italiano lì

Dal Blog di Beppe Grillo

"Caro Beppe,
sono uno studente universitario di Genova che sta facendo l'Erasmus in Islanda, dove ho conosciuto molte persone che vivono e lavorano qui e vedere con i miei occhi come la speculazione finanziaria ha distrutto un Paese che fino allo scorso anno l' ONU definiva il primo al mondo per benessere. I miliardi di dollari che gli speculatori hanno riversato su questo Paese per anni ad un certo punto si sono interrotti e nel giro di poche settimane le principali banche del Paese sono fallite, la moneta è crollata e l' inflazione e la disoccupazione, prima quasi inesistenti, hanno raggiunto percentuali a due cifre. Parlando con le persone del posto ho scoperto con stupore che questo Paese scandinavo è afflitto dai nostri stessi problemi, una classe dirigente collusa con le banche che invece di tutelare i cittadini cerca di coprire le azioni di chi dilapida i loro risparmi e che non vuole saperne di abbandonare il potere, nemmeno ora che le i cittadini per la prima volta nella storia del Paese scendono in piazza ogni giorno per chiedere le dimissioni del governo che ha portato il Paese in queste condizioni. Ma la notizia che mi ha spinto a scrivere questa lettera è quella apparsa oggi su un piccolo giornale locale dove si parla di un giornalista che ha dovuto licenziarsi perchè dopo aver seguito un inchiesta sulle persone che hanno causato la crisi finanziaria il suo editore ha deciso di pubblicare il suo articolo modificato altrimenti il giornale sarebbe stato fatto chiudere dalle persone che il giornalista denunciava. Nemmeno le notizie dei suicidi che stanno diventando sempre più numerosi possono essere pubblicate
Questa esperienza mi ha fatto capire che nonostante viviamo in Paesi diversi con tradizioni e strutture politiche diverse i problemi che affliggono la nostra società sono gli stessi in tutta Europa, il blog ha già rilevanza internazionale, perchè non dedicare spazio anche agli altri Paesi europei? Sono sicuro che le persone e le notizie non mancherebbero e questo contribuirebbe a farlo crescere ancora insieme a chi che non si arrende a questo sistema che ci chiede di non credere più nella giustizia e di diventare come loro, arricchendoci sfruttando e ingannando le persone. Se ho deciso di non essere come loro e di costruire la mia vita combattendo le ingiustizie e aiutando chi difende la verità è anche grazie a tutto quello che ci hai dimostrato in questi anni, prima dalla televisione (ero piccolo, ma mi ricordo quando avevi deciso di andartene a parlare nei teatri pur di non sottometterti a loro) e ora con il blog e le manifestazioni, continua cosi!".

Class Action all'italiana

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Roma - La Class Action all'italiana è nata deforme, non potendo essere attivata dal singolo cittadino ma solo da gruppi di interesse, però anche in quella forma non è ancora operativa, e il Governo ha deciso nei giorni scorsi di rinviarne ulteriormente l'introduzione alla prossima estate. Un rinvio che non sembra piacere a consumatori ed utenti Internet.

Tra i più interessati a questo strumento, per i molti disservizi e problemi che segnalano da anni su tutti i fronti delle TLC, i netizen italiani si stanno organizzando per sostenere la Class Action, già nelle corde di diverse associazioni di consumatori che ne stavano preparando alcune contro imprese di primo piano.

"TLC e Internet più in generale - racconta a Punto Informatico Marco Pierani, promotore della protesta ed esponente di Altroconsumo - sono terreno molto fertile per ipotesi applicative di class action, in quanto in questi settori purtroppo si diffondono comportamenti illeciti da parte di aziende che ledono in maniera seriale un numero elevato di persone per importi poco elevati, dal che il gioco non vale la candela per quanto riguarda le cause individuali, ecco che lo strumento della class action potrebbe conoscere subito e in maniera ottimale applicazioni utili in questo ambito, mi vengono in mente alcune aste al ribasso per fare un esempio veloce".
La mobilitazione sta prendendo forma in questo momento in un gruppo aperto su Facebook: Class action: ulteriore rinvio, beffa per i cittadini - indigniamoci.

Fuori produzione

Di Alessandro Bottoni

Mia moglie fa gli anni il 30 Dicembre. Per non fare la solita, magra figura di "aggregare" il suo regalo con quello di Natale, avevo pensato di regalarle qualcosa di specifico, anche se di poco impegnativo. Silvana è una "fan" di un vecchio (o "antico"?) gruppo chiamato "Animal Nightlife" (Quelli di "Love is just the great pretender", 1982) così ho pensato di regalarle un CD di questo gruppo.
Sorpresa! I CD degli Animal Nightlife sono tutti "out-of-print". La richiesta è troppo bassa. Non coprirebbe i costi di stampa e distribuzione dei CD e quindi il detentore dei diritti (che NON è l'autore) ha deciso di abbandonare questo prodotto. Per ragioni a me francamente incomprensibili, questi brani non sono disponibili nemmeno sotto forma di file (che, ovviamente, hanno un costo di stampa e distribuzione pari a zero).

Il copyright su questi brani è però ancora valido, e lo sarà ancora per decenni. Di conseguenza, non è legale scaricare questi brani da una rete P2P e farsi un CD autocostruito. Si tratterebbe di pirateria. Meno che mai si potrebbe stampare e pubblicare un CD "alternativo" per colmare questa lacuna. Bisognerebbe raggiungere un accordo con l'editore e, come potete immaginare, l'editore quasi certamente non è disponibile a discutere di queste cose con privati cittadini e nano-editori musicali. Bisognerebbe essere almeno un editore musicale di livello nazionale per iniziare una trattativa del genere (e mettere sul piatto almeno qualche decina di migliaia di euro).

Fatto ancora più curioso, nemmeno gli autori stessi (i membri del gruppo) possono stampare e distribuire questi CD e questi brani. Hanno già ceduto i diritti all'editore e non possono mettersi in competizione con esso, nemmeno se l'editore decide di non sfruttare commercialmente questi diritti. Devono subire questa censura in silenzio.
Tentare di spiegare l'assurdità di questa situazione a persone dure d'orecchi, come i vertici di SIAE, FIMI, MPAA, RIAA e via dicendo, sarebbe molto difficile. Bisognerebbe riuscire a far digerire loro il concetto che qualunque "contenuto multimediale" (musica, film, registrazioni audio e video, spartiti, testi di narrativa e di saggistica etc.) è anche un "contenuto culturale" ed un "atto di espressione personale" dell'autore, oltre che un "prodotto commerciale". Come tale, nessuno, nemmeno il distributore e l'editore, ha il diritto di impedirne la distribuzione. Quello che si ottiene in questo caso, infatti, è una pericolosissima ed odiosa forma di censura. Certo è una forma di censura motivata da ragioni commerciali, più o meno plausibili, invece che dalle tradizionali motivazioni politiche, ma sempre di censura si tratta.

Allora, per tentare di far capire questo concetto (difficile da comprendere solo per chi non vuole comprenderlo), ho pensato di scrivere un nuovo raccontino. Come spesso avviene, per far passare un concetto è necessario tirare in ballo qualcosa che per il nostro interlocutore sia importante quanto lo è per noi il tema reale della discussione. Mi perdonerete quindi l'esagerazione ed il paradosso. Sono per una buona causa.
Ovviamente, questo "prodotto commerciale" è distribuito con una licenza molto permissiva che vi consente di ri-pubblicarlo dove vi pare, alle sole condizioni che lo pubblichiate in forma integrale e che ne citiate la fonte. Non ho usato la solita Creative Commons perché voglio cogliere questa occasione per farvi conoscere le licenze CopyZero di Nicola A. Grossi e del Movimento CostoZero. La licenza è in coda all'articolo.

Vi prego di notare che non sono il solito parassita che scarica a scrocco brani dalla rete e non capisce nulla o quasi di copyright. Sono un autore (anche se modestissimo) che vive (in parte) di questa attività (ed in parte vive di copyright sul software che produce) e che conosce bene la questione. Si tratta quindi di una critica che proviene dall'interno del sistema.

domenica 18 gennaio 2009

Dal 1970 infermieri e medici falsi negli ospedali Romani

di Francesco Viviano

Negli ospedali e nelle Asl romane ci sono decine e decine di infermieri che da anni "assistono" ammalati e lavorano anche nelle sale operatorie. Sono sparsi alla Cattolica, al Fatebenefratelli, all´Accademia Teatina delle Scienze, al Sacro Cuore, all´Asl di Frascati. Ufficialmente sono tutti infermieri, tutti professionali, ma con diplomi tutti falsi prodotti in una "fabbrica" di Cosenza e distribuiti in tutta Italia, soprattutto nel sud Italia e a Roma. Il prezzo del falso diploma variava dagli 8 ai 10 mila euro.
La truffa e i falsi infermieri sono stati scoperti dai Nas, al comando del colonnello Ernesto Di Gregorio che con i suoi uomini ha "radiografato" - è il caso di dirlo - migliaia e migliaia di diplomi per infermieri falsi a partire dal 1975 fino all´altro ieri. E così settantaquattro persone sono state arrestate, un altro centinaio sono indagate e altri ancora potrebbero presto finire nei guai. I protagonisti di questa vicenda, sono un vero infermiere (almeno così pare) che lavora a Cosenza, Damiano Taraso e altri componenti della sua famiglia e della sua parentela (tutti infermieri naturalmente qualcuno anche capo sala) e il direttore della segreteria didattica della Cattolica, Antonio Pongetti, specializzato nel rilasciare test di ammissione per l´ingresso alla facoltà di Scienze infermieristiche dell´Università. Entrambi sono finiti in carcere. Pongetti non si limitava soltanto a farsi pagare i test di ammissione ma, spesso, chiedeva anche prestazioni sessuali. Una studentessa però lo ha letteralmente mandato a quel paese, quando Pongetti, insistendo in maniera ossessiva, riceve dalla ragazza un sms: «Non ti voglio vedere più, se sarò capace tenterò di passare i test con le mie sole forze e tu vaffa...».
La ragazza e altri aspiranti infermieri spesso venivano accompagnati da Damiano Taraso all´interno degli ospedali e delle università romane e li presentava anche a presunti professori o medici che avrebbero agevolato il loro ingresso nel mondo del lavoro e le loro future carriere.
I carabinieri del Nas hanno scoperto la compravendita dei diplomi di falsi infermieri in seguito a una denuncia presentata nel 2007 dal collegio degli infermieri di Cosenza che aveva fatto delle indagini dopo che un medico di "Villa Torano" si era accorto che tra i suoi collaboratori c´erano degli infermieri "professionali" ma del tutto impreparati. Per centinaia di falsi infermieri, soprattutto quelli entrati negli anni ?70, i reati sono già prescritti. Ma le amministrazioni sanitarie possono ancora prendere provvedimenti.
L´inchiesta dei carabinieri è tutt´altro che conclusa, si sta ancora indagando per verificare casi di favoreggiamento da parte di medici o capi sala che, pur al corrente di quanto accadeva, non avrebbero preso provvedimenti. Ma adesso sono in molti a rischiare: il gip di Cosenza ha infatti disposto sequestri preventivi dei patrimoni dei falsi infermieri che, se processati e condannati, dovranno rimborsare migliaia di euro per gli stipendi incassati in tutti questi anni.

Truffe con i dialer: multe ridicole

I dialer sono programmi che cambiano i numeri telefonici per connettersi ad internet con connessione a 56Kb (non funzionano su connessioni ADSL). I dialer erano programmi che dirottavano le chiamate su numeri a tariffazione elevata. E le società sono risultate colpevoli di aver agevolato le truffe con questi sistemi (bollette telefoniche gonfiate) ecco le multe:

  • Telecom Italia: 325.000 € (trecentoventicinquemila euro);
  • Elsacom S.p.A.: 270.000 € (duecentosettantamila euro);
  • CSINFO S.p.A.: 255.000 € (duecentocinquantacinquemila euro);
  • Eutelia S.p.A.: 215.000 € (duecentoquindicimila euro);
  • Karupa S.p.A.: 255.000 € (duecentocinquantacinquemila euro);
  • Voiceplus S.r.l.: 255.000 € (duecentocinquantacinquemila euro);
  • Teleunit S.p.A.: 180.000 € (centottantamila euro);
  • Drin TV S.r.l.: 115.000 € (centoquindicimila euro).
  • AbcTrade S.r.l.: 115.000 € (centoquindicimila euro).
  • Telegest Italia S.r.l.: 115.000 € (centoquindicimila euro).
  • OT&T S.r.l.: 115.000 € (centoquindicimila euro).
  • Aurora Uno Sro: 115.000 € (centoquindicimila euro).
  • Ivory Network Limited: 100.000 € (centomila euro).

Queste multe sono ridicole, troppo basse, per queste società e sono un chiaro esempio di come non funzioni la giustizia in Italia.

venerdì 16 gennaio 2009

venerdì 9 gennaio 2009

Tolleranza Zoro

Ecco un blog interessante: ogni articolo è un video di Diego Bianchi. Diego Bianchi ha cominciato da neofita mettendo i propri video su youtube e poi è stato notato e lavora per il canale televisivo LA 7.

http://zoro.blog.excite.it/

Come ci prendono in giro in Francia